Se ne è andato Pippo Baudo, e qui c’è poco da scherzare: parliamo di un pezzo di storia (nazionalpopolare, la bollò l'allora presidente socialista della Rai, Enrico Manca) che non tornerà più, l’uomo che riusciva a condurre Sanremo come se fosse una messa solenne, ma senza sbadigli, capace di scoprire talenti, tenere la scena, sbrogliare dirette complicate e mantenere anche nelle situazioni più imbarazzanti quell’aplomb elegante e professionale che oggi farebbe arrossire qualsiasi conduttore da reality.
Pippo, statue e santini
Baudo è stato la tv: quella che educava mentre intratteneva, che brillava senza bisogno di lucine psichedeliche e microfoni lanciati a casaccio. Insomma, una figura monumentale. Ma da qui a trasformarlo letteralmente in un monumento ce ne passa.
A dare il la è stato Rosario Fiorello, che uscendo dalla camera ardente allestita al Teatro delle Vittorie ha dichiarato, con una forte venatura di ironia: “La Rai dovrebbe sostituire la statua del cavallo con quella di Pippo”.
Un’uscita tenera e sincera, certo, ma forse (togliamo il forse) un tantinello esagerata. Perché, seguendo la sua logica, accanto al cavallo di Baudo dovremmo piazzare Mike Bongiorno versione bronzea, Corrado in marmo di Carrara, Enzo Tortora in pietra lavica, Raffaella Carrà in avorio e magari Sandra e Raimondo, ovviamente in coppia, in argilla. Il tutto condito da un Frizzi che sorride in indistruttibile travertino romano.
Insomma: un condominio marmoreo nei giardini di viale Mazzini, con tanto di scolaresche in gita guidate tra busti e statue dei grandi della tv, modalità Pantheon dei presentatori italiani. Sono talmente tanti, accorati ed eccessivi che i commenti sulla dipartita del Pippo nazionale sembrano quasi sfide a chi la spara più grossa. Che poi, siccome siamo perfidi, ci si chiede anche quanto di tutto ciò sia davvero sincero.
A questo ritmo, non stupirebbe se qualcuno proponesse al Papa di canonizzarlo come patrono di Sanremo. Non che il ricordo non sia sacrosanto, anzi. Ma l’isteria da cordoglio istituzionalizzato tende sempre a sconfinare nella fiera dell’eccesso. E nel grottesco. Più consona, a questo punto, la proposta di Lino Banfi, che ha suggerito di intitolare a Baudo il Teatro delle Vittorie. Cosa che ha un suo perché, visto che quello era davvero il suo tempio naturale. In tutto ciò, resta un fatto: Baudo ha rappresentato una televisione che, ahinoi, non c’è più.
L’ha incarnata con una dignità e un carisma che oggi commuovono quasi più della sua scomparsa. Ma, forse, il modo migliore per ricordarlo non è trasformare la Rai in un museo delle cere all’aperto, ma ripensare a quella lezione di professionalità e rispetto del pubblico che lui portava in ogni diretta. Il resto, statue comprese, rischia di essere solo molto rumore per nulla.