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Le mura medievali di Avignone, illuminate dalla tenue luce di un gelido dicembre, sembrano trattenere il respiro. Il tempo sembra sospeso mentre, sotto il loro sguardo antico, si consuma un evento destinato a imprimersi nella storia: un processo che è molto più di un giudizio legale: un confronto tra un passato oscuro e un futuro che anela al cambiamento. L’aula del tribunale, sobria e austera, è teatro di emozioni contrastanti: dolore, rabbia, speranza di giustizia e cambiamento. Al centro di tutto, una donna il cui nome è ormai sinonimo di lotta e resistenza: Gisèle Pelicot. Una figura che passa inosservata. Nonostante il volto segnato dal tempo e dal trauma, trasmette una forza rara. Gli occhiali da sole tondi non celano il suo sguardo interiore, mentre i capelli ordinati in un caschetto curato sembrano essere il simbolo di una dignità incrollabile. Seduta nel banco dei testimoni durante l’ultima udienza prima della sentenza prevista per domani, Gisèle appare immobile e determinata. La sua storia, dolorosamente personale, è diventata il grido di battaglia di milioni di donne che si riconoscono nella sua sofferenza e nella sua forza.
Caso Pelicot: il coraggio di Gisèle ben più importante di cento condanne
Per dieci anni, Gisèle è stata vittima inconsapevole di un crimine orrendo, orchestrato da chi avrebbe dovuto proteggerla. Dominique Pelicot, suo marito, l’aveva drogata ripetutamente, trasformandola in una preda per stupri sistematici organizzati da lui stesso. Decine di uomini erano stati coinvolti, consumando quegli abusi nel piccolo borgo di Mazan, lontano dallo sguardo del mondo.
Oggi degli altri uomini hanno condannato Dominque Pelicot, a vent'anni di carcere, il massimo previsto per reati del genere. E condanne sono state inflitte anche a quegli uomini che, accettando il gioco perverso di Dominque, hanno abusato di Gisèle.
Lei viveva in un incubo senza sapere di essere prigioniera. Le sue amnesie, le infezioni inspiegabili, i malesseri continui erano sintomi di un orrore che non riusciva a nominare. La verità è emersa quasi per caso, quando Dominique è stato arrestato per aver filmato di nascosto le parti intime di due giovani in un supermercato.
E' lì che una perquisizione ha rivelato centinaia di video e fotografie che documentavano gli abusi ai danni della moglie. Le prove erano schiaccianti: date, nomi, volti. Ogni immagine era una ferita aperta, ma anche una testimonianza inconfutabile di una verità che Gisèle ha deciso di affrontare a testa alta.
''La vergogna deve cambiare lato'', ha dichiarato Gisèle durante il processo, al quale non è man mancata.
Questa frase, semplice e potente, ha sintetizzato il cuore della sua lotta. Non era solo un grido personale, ma un manifesto universale: la violenza deve essere esposta, denunciata, attribuita a chi la commette. La sua decisione di rendere pubblica la vicenda non è stata facile, ma necessaria. Con il supporto dei suoi legali e della sua famiglia, Gisèle ha scelto di trasformare il dolore in resistenza, di fare della sua vita un simbolo per chiunque abbia subito violenza. Il processo, celebrato a porte aperte, ha avuto un impatto che va oltre le mura del tribunale.
Da settembre, le udienze sono diventate un punto di riferimento per attivisti, giornalisti e cittadini. Una folla, composta in gran parte da donne, ha seguito ogni sviluppo con attenzione.
Le femministe dei Collages Féministes Rebelles 84 hanno organizzato manifestazioni, collages sui muri e presidi davanti al tribunale, trasformando ogni evento in un atto di solidarietà e consapevolezza collettiva. In queste occasioni, la storia di Gisèle si è intrecciata con quella di molte altre donne, vittime di una violenza sistemica che spesso resta invisibile.
Tra le testimonianze più sconvolgenti, quella della figlia di Gisèle, Caroline Darian, ha aperto nuovi abissi di dolore e coraggio. Durante le udienze, Caroline ha scoperto di essere stata anch’essa vittima di abusi, documentati nei video del padre. Nonostante lo shock, ha trovato la forza di unirsi alla madre, chiedendo riforme legislative più severe contro la sottomissione chimica e alcolica. Le sue parole, cariche di rabbia e speranza, hanno ispirato migliaia di persone, spingendo persino il governo francese a promettere nuove misure, come la gratuità dei test per le vittime sospette di sedazione chimica.
In caso, quello di Gisèle Pelicot, che ha messo in luce non solo il suo coraggio, ma anche le profonde falle di un sistema incapace di proteggere le vittime. Dati recenti mostrano che in Francia l’86% delle denunce di abusi sessuali e il 94% degli stupri non vengono perseguiti o non giungono mai a processo. Questa realtà è stata denunciata con forza dalle attiviste, come Elsa Labouret, che hanno sottolineato come molti uomini continuino a sfruttare un sistema che minimizza o normalizza la violenza sessuale. Gli imputati del processo Pelicot, uomini di ogni età, professione ed estrazione sociale, rappresentano un campione inquietante di una società che permette la perpetuazione di simili crimini. Alcuni hanno dichiarato di essere stati manipolati; altri, incredibilmente, hanno affermato di non sapere che Gisèle fosse incosciente. Difese, chiamiamole così, che hanno sollevato interrogativi cruciali sul consenso, sull’educazione sessuale e sulla responsabilità individuale. Anche online, il caso ha acceso dibattiti feroci.
L’hashtag #NotAllMen, usato da alcuni uomini per difendersi dall’accusa di complicità collettiva, ha generato una risposta furiosa da parte di donne che hanno condiviso le proprie storie di abusi. Il dibattito ha messo in evidenza un problema strutturale: il patriarcato, che permette a molti di beneficiare, direttamente o indirettamente, di una cultura che tollera la violenza.
Nelle ultime settimane del processo, Gisèle Pelicot ha mostrato un cambiamento visibile. Se all’inizio appariva schiacciata dal peso della sua vicenda, verso la fine la sua postura è diventata fiera, il suo sguardo determinato. In aula, immobile e decisa, è diventata un esempio vivente di resilienza.
''Voglio che le donne pensino che, se ce l’ho fatta io, possono farcela anche loro'', ha dichiarato con voce ferma. Comunque. al di là della sentenza di oggi, una cosa è certa: Gisèle Pelicot è diventata un simbolo di coraggio e dignità, e ha aperto una breccia in un muro di silenzio e indifferenza, dimostrando che la verità e la dignità possono prevalere anche nelle tenebre più fitte. La sentenza di domani non chiuderà la sua lotta. Ma Gisèle ha già cambiato il corso della storia, lasciando un segno indelebile nella coscienza collettiva.