Nel Transatlantico tira una brutta aria. Letteralmente. Correnti d’aria subdole, invisibili, quasi imperiali, si insinuano tra i velluti istituzionali e le cravatte d’ordinanza, sfidando senza pietà l’immunità parlamentare e quella immunitaria. Qualcuno ha già evocato l’intervento della Protezione Civile; altri propongono l’uso sistematico di plaid tricolori e brodini caldi tra un’interrogazione e l’altra.
Correnti fredde nel Transatlantico: il Parlamento italiano minaccia lo stato di raffreddamento
Non si esclude l’attivazione del livello giallo di emergenza sinusite, mentre in qualche segreteria si discute l’introduzione di kit anti-refrigerio con all’interno: golfino beige, gocce per la gola e spray alla propoli per la rinite da condizionatore.
Si sa, il Parlamento italiano ha attraversato stagioni difficili: crisi economiche, ribaltoni politici, pandemie. Ma nulla poteva prepararlo a questo. Il vero gelo, quello che paralizza i muscoli facciali e fa rizzare i peli sul braccio sotto il loden estivo, si è manifestato giovedì scorso nell’Aula della Camera.
he poi, non era un giorno particolarmente caldo – non si parla di Caronte, né di Lucifero, né di altri anticicloni dall’onomastica barocca –, ma l’effetto polo nord con moquette ha colpito lo stesso. È qui che l’onorevole Patrizia Marrocco di Forza Italia ha preso la parola.
Ma non per parlare del decreto Infrastrutture, tema della seduta, bensì per lanciare un urlo di dolore destinato a fare storia: “L’aria condizionata è eccessivamente alta. Non è accettabile lavorare con il rischio di tornare a casa e ammalarsi. Se va bene, rischiamo le placche. Se va male, la broncopolmonite”.
Una denuncia accorata, intrisa di pathos, un misto fra Tolstoj e il bollettino medico del campus invernale dell’Eur.
Applausi timidi, forse frenati dalla rigidità articolare causata dall’escursione termica. Qualcuno ha annuito stringendosi nel proprio cachemire. C’è chi, si dice, abbia consultato il meteo dell’Aula sul telefono, cercando “condizioni climatiche in zona Montecitorio, interni”. La proposta della Marrocco, tutt’altro che marginale, è stata subito elevata a questione di salute pubblica: un Parlamento raffreddato non può legiferare lucidamente. Un Parlamento con la gola secca mette a rischio la Repubblica. E allora, via alle richieste: regolare il termostato, abbassare l’intensità polare, tutelare le mucose dei rappresentanti del popolo.
Ma ecco, come in ogni dramma che si rispetti, il contrappunto. Francesco Emilio Borrelli, di Alleanza Verdi e Sinistra, ha osato rompere l’incantesimo criogenico con un’iniezione brutale di realtà: “Vorrei far notare che ci sono lavoratori che muoiono sotto i 40 gradi ogni giorno. Sono loro che devono avere la priorità.” Una frase che ha congelato l’atmosfera – ma solo in senso metaforico, poiché quella reale era già ferma sui -4 di percepita. L’Aula si è divisa. C’è chi ha percepito il cinismo, chi il sarcasmo, chi un refolo in zona clavicola destra.
A dirla tutta, l’aria condizionata non è solo un tema climatico, ma ormai geopolitico. È il Green Deal dei corridoi istituzionali. È la nuova linea Maginot fra chi può permettersi la sciarpetta Burberry e chi invece deve affrontare le temperature polari di Montecitorio con la sola dignità di una giacca estiva.
Nel frattempo, il Presidente di turno Sergio Costa ha accolto l’istanza con la dovuta gravità: “Va bene, do indicazioni per regolare l’aria condizionata”. Non specificando, però, se si tratterà di un compromesso termico tra artico e subtropicale o se ci sarà un’apposita commissione per monitorare, con termometri certificati e fonendoscopi, i reali effetti del flusso refrigerante sulle truppe parlamentari. L’aria, insomma, resta tesa. E non solo per questioni politiche, ma per le tracheiti incipienti.
Si mormora che Rita Dalla Chiesa, la vera pioniera dell’allarme “freddo in Aula”, abbia già depositato una bozza di mappatura delle correnti con diagrammi freccettati e modelli previsioni-meteo. A breve dovrebbe arrivare anche una proposta bipartisan per la redistribuzione delle bocchette d’aria in base alla fragilità termica dei deputati.
Intanto, là fuori, nel mondo reale – quello privo di moquette fonoassorbente, pulsanti per il voto elettronico e microfoni per sfoghi istituzionali – quando il caldo arriva sul serio, e ripetiamo che il 10 luglio non era nemmeno questa tragedia climatica, si continua semplicemente a boccheggiare.
Non in senso poetico, ma proprio in quello sudaticcio e disperato: lingua secca, sudore che scivola fin dentro le mutande e il sole che rimbalza sull’asfalto fino a liquefare anche l’ultima briciola di pazienza civile. I rider, poveri dannati della gig economy, pedalano come criceti imbizzarriti in forni ventilati, con zaini termici che arroventano le scapole e stipendi che non pagano nemmeno una granita. Gli operai edili si arrampicano su impalcature incandescenti che violano ogni norma di sicurezza tranne, forse, quella divina.
E negli stabilimenti industriali si cuociono turni di lavoro in condizioni che ricordano Chernobyl, ma senza tute protettive né copertura mediatica. E poi ci sono loro. Gli impavidi. Gli stoici. I parlamentari invernali per vocazione. Loro no, loro non si sciolgono. Loro resistono. Resistono al gelo improvviso dei condizionatori, alle fitte alla gola, alla crudele inadeguatezza delle termiche parlamentari. Perché, con i loro poveri 10mila euro al mese, si affrontano anche le tempeste artiche dell’aria centralizzata.
Sono i nuovi eroi, i protagonisti di una nuova saga nordica, eredi spirituali dei vichinghi di Bruxelles, solo con meno elmi e più foulard. E nel momento più buio, quando la temperatura precipita sfiora i -24 gradi, resta solo lui, il vero protagonista morale della legislatura: il golfino. Che non è un semplice indumento, no. È una dichiarazione di esistenza e resilienza. Un vessillo. Un grido di battaglia, ovviamente in cachemire. Perché il golfino è resistenza passiva, è martirio in maglia rasata, è l’ultimo baluardo umano contro la crudele tirannia dell’aria condizionata. E quando, un giorno, la Nazione sarà chiamata a scegliere tra una legge sul salario minimo e una faringite da plenaria, sappiamo tutti quale sarà l’unico vero interesse da tutelare: la gola dell’onorevole.