Jorge Bergoglio era dotato di un grande senso dell'umorismo, che ha conservato anche quando, lasciando la veste rossa indossò quella candida da papa scegliendo di chiamarsi come il Santo di Assisi, ha dovuto in parte modificare la sua ''comunicazione''.
Papa Francesco: i Grandi del mondo ai funerali, anche quelli che non lo sopportavano
Ma tutti quelli che lo hanno frequentato al di fuori dell'ufficialità ne hanno sempre ricordato le battute e i ''tempi'' quasi teatrali con cui le faceva. Per questo ci piace pensare a come se la stia ridendo, da Lassù, vedendo il parterre di grandi della Terra che, sabato, a san Pietro, sarà presente ai funerali.
Ridere solo perché, a rendergli omaggio, ci saranno anche governanti e capi di Stato ai quali le sue prese di posizione su argomenti molto delicati e dibattuti, come guerra e migrazioni, ad esempio, sono andate spesso di traverso.
Perché se c'era una cosa che papa Bergoglio non temeva era che le sue parole gli creassero nemici o inimicizie se, attraverso di esse, poteva difendere quell'umanità dolente e disperata che è sempre stata in cima ai suoi pensieri. Lui, da capo di Stato, avrebbe forse dovuto misurare le parole, ma da capo della Chiesa si sentiva esentato dall'obbedire ai rigidi protocolli della diplomazia.
Quindi, vedere che, a san Pietro, ci sarà Donald Trump, di cui il pontefice ha fortemente criticato le politiche sui migranti sembra quasi un controsenso, anche se in fondo la presenza è solo un atto formale e comunque di buon senso da parte del presidente degli Stati Uniti, che sa di doversi tenere buoni i cattolici americani e magari, in cuor suo, coltiva la speranza che il prossimo papa sia uno dei ''suoi''.
La condizione dei migranti è stata, da sempre, per Francesco una ferita aperta. perché lui, degli ultimi, si è sempre occupato, come quando, a Buenos Aires, da capo della comunità ecclesiale della megalopoli argentina, non mancava mai di portare conforto a chi nulla aveva. E non è certo per piaggeria che proprio i senzacasa di Buenos Aires sono stati quelli che, in Argentina, hanno manifestato la massima partecipazione al dolore dei cattolici.
Alle esequie sarà presente anche Javier Milei, il presidente argentino, che in questi giorni ha avuto per papa Bergoglio parole dolcissime e riconoscenti (''Nonostante le divergenze che oggi appaiono minori, averlo potuto conoscere nella sua bontà e saggezza è stato per me un onore'') e che ha indetto sette giorni di lutto nazionale.
Divergenze minori? Giudicate voi: Cosa dire di un uomo che, in campagna elettorale, insultò il papa definendolo un ''asino'', accusandolo di portare avanti politiche ecclesiali ''di merda''? Sabato ci sarà anche lui, Milei, ad assistere ai funerali, come se la morte cancellasse tutto.
Ma, davanti al sagrato di san Pietro, ci saranno anche capi di Stato che a papa Francesco devono, ancora oggi, molto. Come Volodymyr Zelensky, presidente della sventurata Ucraina per la quale il pontefice ad ogni occasione reclamava la pace, senza comunque distinguere tra aggressore e aggredito, come pure qualcuno oggi sottolinea.
Poi c'è un capitolo a parte che meriterebbe di essere introdotto con l'interrogativo ormai cult che poneva Michele, protagonista di ''Ecce bombo'': ''Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?''.
Parliamo di due protagonisti della politica internazionale, guarda caso entrambi ''impegnati'' in dinamiche di guerra: Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu, che hanno deciso di disertare l'evento, accomunati, oltre che dalla stessa decisione, anche da fatto che contro di loro - non personalmente, ma come capi di Stato - Francesco ha spesso tuonato per chiedere la fine dei conflitti, non prendendo una posizione che non fosse quello di difendere i civili, le vere vittime. Un argomento che evidentemente a Mosca e Gerusalemme è indigesto.