Chiediamo scusa a papa Francesco se rubiamo una delle frasi più iconiche del suo pontificato quando, in aereo, parlando con i giornalisti durante uno dei viaggi papali, ad una domanda sulle unioni tra persone dello stesso sesso, ebbe a dire: chi sono io per giudicare?
Una frase bellissima perché metteva accanto una valutazione personale di chi siede sul soglio petrino e la delicatezza di una questione che riguarda solo chi ne è parte. Allo stesso modo, se ci si chiedesse un giudizio sull'intricata vicenda dell'MPS e della sua acquisizione, la sola cosa che potremmo dire è che non siamo in grado di giudicare.
MPS: giusto fare domande, sbagliato evitare di dare risposte
Certo per ignoranza delle strategie che animano la quotidianità della grande finanza, ma anche perché la cosa va oltre le beghe da mercanti tra chi vuole comprare e chi non vuole farsi comprare, tra chi vorrebbe che qualcuno acquisisse e chi deve assistere, giocoforza, ai magheggi della politica, che proprio non ce la fa a stare lontano da materie che da essa promanano, ma che non dovrebbe vederla come attrice, per giunta in ruoli da protagonista.
Ma da spettatori, la cosa che emerge è che ormai le parti in commedia si ripetono con ossessiva routine e la vicenda del Monte Paschi (con vista Mediobanca e, quindi, Generali) sembra non sottrarsi all'immagine di una situazione che, potenzialmente nociva per il governo, non ha dall'esecutivo una risposta chiara, che cancelli dubbi, perplessità e sospetti.
Probabilmente è troppo chiedere a chiunque occupi posti di responsabilità, come appunto il governo, di essere chiaro perché, nel presupposto che il passare del tempo sia la migliore strategia per rendere opaca qualsiasi situazione, rimandare un chiarimento è la strada preferita.
Eppure oggi, davanti alle paginate dei quotidiani su questo argomento, il governo preferisce la strada del temporeggiamento, per dilatare i termini temporali e rimandare quella che dovrebbe essere una sua priorità: essere chiaro e, quindi, dare certezze sull'accaduto o, almeno questo, raccontare la sua verità. Che forse non corrisponde alla realtà, ma che almeno potrebbe dare qualcosa di concreto su cui confrontarsi.
Quando le opposizioni dicono di volere in aula il ministro delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, non lo fanno sulla base di indiscrezioni giornalistiche, della ''solita'' trasmissione di Report, ma per notizie che giungono da una procura e parlano, con nomi e cognomi, di persone sottoposte ad indagini non per quello che avevano in testa, ma per comportamenti loro attribuiti e che, in via di ipotesi, hanno stracciato la legge.
Gli indagati risponderanno nelle sedi opportune, ma il governo, chiamato pesantemente in causa, dovrebbe avere tutto l'interesse a dire e spiegare e invece non lo fa. E se lo fa si avvia sulla solita strada: dagli ai giudici, come ha fatto Matteo Salvini.