Ambiente & Sostenibilità

Il veleno invisibile: viaggio nel mondo sommerso delle microplastiche

Barbara Leone
 
Il veleno invisibile: viaggio nel mondo sommerso delle microplastiche

C'è un nemico silenzioso che ci accompagna in ogni gesto quotidiano, penetrando nel nostro corpo attraverso l'acqua che beviamo, l’aria che respiriamo, il cibo che consumiamo, persino gli abiti che indossiamo. Le microplastiche, frammenti invisibili, ma persistenti, hanno ormai colonizzato ogni angolo del pianeta e, come dimostrano nuovi studi, anche i tessuti più intimi del corpo umano.

Il veleno invisibile: viaggio nel mondo sommerso delle microplastiche

Una recente indagine condotta dall’Università di Salerno ha rivelato qualcosa di inquietante: minuscole particelle di plastica sono state rinvenute nel liquido follicolare delle ovaie. In 14 campioni su 18 esaminati da donne in cura per problemi di fertilità, gli scienziati hanno identificato concentrazioni medie di oltre duemila particelle per millilitro.

Un numero che non lascia spazio a dubbi: la plastica è penetrata nei meccanismi più delicati della riproduzione umana. E sebbene il nesso causale diretto tra presenza di microplastiche e infertilità resti ancora da indagare a fondo, la correlazione con l’alterazione dell’FSH, l’ormone follicolo-stimolante, è un primo indizio allarmante.

Ma il danno non si limita alla sfera riproduttiva. Un secondo studio, presentato all’American Heart Association e nato da una collaborazione tra la University of New Mexico e ricercatori italiani, ha portato alla luce un’altra inquietante evidenza: le microplastiche si annidano anche nelle placche aterosclerotiche delle arterie carotidi, aumentando il rischio di eventi cardiovascolari gravi. In chi ha già subito ictus o episodi ischemici, la concentrazione di queste particelle è risultata fino a 50 volte superiore rispetto a chi non presenta sintomi.

Il legame con processi infiammatori e l’indebolimento delle cellule stabilizzatrici delle placche indica un potenziale meccanismo di aggravamento silenzioso ma insidioso. In parallelo, una vasta analisi condotta dall’Università del Texas di Arlington, che ha passato al vaglio oltre 200 studi pubblicati negli ultimi anni, ha confermato quanto già temuto: non esiste ancora un sistema efficace e universalmente valido per eliminare del tutto le microplastiche dall’acqua potabile.

I filtri attuali, progettati per sostanze solubili, risultano inadeguati contro queste particelle sospese e resistenti. I ricercatori hanno quindi invocato la necessità urgente di standard internazionali condivisi, sia per la definizione delle microplastiche, sia per i protocolli di monitoraggio e depurazione. Una nuova attestazione della pervasività delle microplastiche viene poi da un recente studio dell’Università di Parma e di IMEM-CNR appena pubblicato sulla rivista open-access “PLOS One”.

Lo studio ha riguardato 8 gatte nelle prime fasi della gravidanza tramite un campionamento plastic-free (placente e feti) per evitare qualsiasi possibile contaminazione accidentale. I ricercatori e le ricercatrici hanno rilevato 19 diversi tipi di particelle di microplastiche, analizzate attraverso la spettroscopia Raman, nelle placente di tre gatte e in due feti felini. Il lavoro dimostra quindi che le microplastiche possono accumularsi nelle placente feline anche nella fase iniziale della gravidanza. Lo studio ha inoltre evidenziato la presenza di microplastiche nei feti felini, suggerendo il loro possibile passaggio attraverso la barriera placentare. Questa evidenza scientifica sottolinea il potenziale rischio derivante dall’utilizzo e dalla disseminazione delle plastiche nell’ecosistema, un problema di grande attualità e di preoccupazione per la salute umana e animale.

A peggiorare il quadro, ci sono le fonti di inquinamento quotidiano che spesso passano inosservate. Una di queste è rappresentata dalle gomme da masticare: realizzate con polimeri sintetici derivati dal petrolio, non solo non sono biodegradabili, ma rilasciano microplastiche ogni volta che vengono masticate. Un piccolo gesto che, moltiplicato per le oltre mille miliardi di gomme prodotte ogni anno, si trasforma in una catastrofe ecologica silenziosa. E poi c’è la moda. Dietro il fascino di un tessuto lucente o di un capo performante si cela una delle fonti principali di rilascio di microfibre plastiche.

Ogni lavaggio in lavatrice genera un'esplosione invisibile: milioni di filamenti sintetici si staccano dai tessuti e finiscono nei sistemi fognari, sfuggendo ai depuratori per poi scivolare nei fiumi e nei mari. Un recente studio ha scoperto che queste microfibre non si fermano più in superficie né tra le maglie delle reti da pesca, ma si depositano fino a tremila metri di profondità, trasportate da potenti correnti sottomarine chiamate torbiditi.

Nel cuore del Whittard Canyon, al largo delle coste irlandesi, i ricercatori dell’Università di Manchester hanno osservato come queste correnti, che normalmente veicolano nutrienti fondamentali per gli ecosistemi profondi, trascinino con sé anche rifiuti plastici. Ian Kane, geologo e coautore dello studio, ha definito "scioccante" scoprire che queste valanghe sottomarine, vitali per la biodiversità, siano diventate veicoli di contaminazione ambientale. Le microplastiche non solo si accumulano nei fondali, ma agiscono anche come vettori di inquinanti secondari: sostanze chimiche pericolose come PFAS, metalli pesanti, e altri composti tossici si legano a queste particelle, trasformandole in un cocktail letale per la fauna marina.

Gli scienziati parlano ormai apertamente di “punti caldi di microplastiche” che coincidono, con tragica ironia, con le zone più ricche di biodiversità. E ciò che si deposita nei fondali, lentamente, torna a galla lungo la catena alimentare. Non è un destino che riguarda solo gli abissi. Anche la politica si è finalmente mossa, con un primo timido passo. Nelle scorse settimane, infatti, l’Unione Europea ha annunciato un accordo preliminare per regolamentare la gestione dei pellet di plastica (i granuli utilizzati come materia prima per la produzione di oggetti plastici), che rappresentano la terza causa di dispersione non intenzionale di microplastiche dopo vernici e pneumatici. Il nuovo regolamento prevede obblighi specifici per le aziende, tra cui piani di gestione del rischio, operazioni di bonifica, e certificazioni obbligatorie per le imprese di grandi dimensioni.

Le aziende straniere che operano nel mercato europeo dovranno anche nominare un rappresentante ufficiale nell’UE, per garantire la tracciabilità e la responsabilità. Certo, è un inizio. Ma mentre si discute di certificazioni e linee guida, le microplastiche continuano a penetrare nel corpo umano e negli ecosistemi. Invisibili, inodori, apparentemente inoffensive, sono in realtà i frammenti di un disastro che abbiamo ignorato troppo a lungo.

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