FOTO: Ensahequ - CC BY-SA 4.0
Otto mesi. Questo il tempo che ci è voluto perché anche la stirpe Massari scoprisse ciò che qualunque romano sa dalla notte dei tempi: il maritozzo non è roba da alchimie pasticciere. E’ pane, panna e basta. Fine della trasmissione. Eppure "Maritz", nome che riecheggia più un detersivo per la lavastoviglie o al massimo il cugino sfigato dello spritz, aveva aperto i battenti a Milano con la baldanza di chi pensa di aver reinventato la ruota. O meglio, il lievitato.
Maritz: pane, panna e presunzione
Iginio Massari, pontefice della pasticceria patinata, aveva benedetto l'impresa: un format monoprodotto, perché quando hai un martello tutto ti sembra un chiodo, e quando sei un maestro pasticcere tutto ti sembra meritevole di sovrastrutture concettuali. I prezzi, ovviamente, non erano proprio da “due euro e un sorriso” come a Roma, dove un maritozzo te lo porti a casa con il resto della benzina: sei euro per la versione classica con la panna, sette per le varie special edition.
E già qui, caro Iginio, non ci siamo. Perché il maritozzo è maritozzo punto. Non ha bisogno di special edition né di impasti esotici: la sua forza sta nella semplicità, nella panna morbida e in quel gesto antico di morderlo sbrodolandosi senza sensi di colpa. Tutto il resto è orpello da boutique.
Sennonché, ed è qui che la faccenda si fa squisitamente tragicomica, i milanesi (e non i romani) hanno storto il naso. Anzi, l'hanno proprio arricciato come carta velina bagnata. Su Tripadvisor il locale ha racimolato un 1,6 stelle che fa quasi tenerezza, il tipo di votazione che nemmeno una tavola calda in autostrada riesce a collezionare. Su Google le cose vanno leggermente meglio, ma solo perché 3,2 è comunque un voto da bocciatura sdegnosa. Tra i commenti, una sinfonia di epiteti: "Immangiabili", "deludenti", "prezzi eccessivi". Unica nota di grazia: il personale, che a quanto pare era cortese e professionale.
E con quei prezzi lì, falli essere pure sgarbati! E però i Massari non sono gente che si lascia abbattere da quisquilie come il giudizio unanime della clientela. Così, dopo una chiusura spacciata per "lavori interni" - dicitura che nella ristorazione equivale al classico "non sei tu, sono io" delle rotture sentimentali - ecco la resurrezione. Nicola Massari, rampollo della dinastia, ha sentenziato che trattavasi di "una verifica sul campo". Traduzione: abbiamo capito di aver toppato alla grande, ma non lo ammetteremo mai.
La soluzione? Raddoppiare la posta, naturalmente. Via i maritozzi da consumo veloce, troppo plebei e prosaici, e spazio ai "maritozzi gioiello". Come un Cartier, come un Bulgari, ma in formato lievito madre. Prodotti da regalo, giurano. Perché nulla dice "ti voglio bene" come un dolce che costa quanto una cena e che rischia di essere definito immangiabile su Internet. Il nuovo menu prevede tre impasti, dieci farciture di creme, due tipi di panna e sette decorazioni. Una complessità che fa impallidire la tavola periodica degli elementi.
Verrebbe da chiedersi se per ordinare servirà un master in ingegneria pasticcera o se basterà la maturità classica. Ma soprattutto: riusciranno i nostri eroi a conquistare un pubblico che finora li ha accolti con l'entusiasmo riservato a una cartella esattoriale? La risposta, temiamo, la conosciamo già. Nell'attesa godiamoci lo spettacolo: in fondo, assistere a chi si ostina a vendere ghiaccio agli eschimesi ha sempre il suo perché. Soprattutto quando il ghiaccio costa come champagne, e gli eschimesi ti rispondono che a casa loro funziona meglio.