Ve lo immaginate Edmund Kean, magari dopo avere pronunciato la frase ''Ormai l'inverno del nostro scontento s'è fatto estate radiosa ai raggi di questo sole di York'', confidare che Riccardo III gli stava proprio sulle scatole e che mai avrebbe voluto interpretarlo?
O Charlie Chaplin chiosare su quanto gli fosse pesato vestire i panni, sebbene ironici, di un Hitler da operetta in ''Il grande dittatore''? O Rod Steiger, magistrale nel ritrarre il crepuscolare Mussolini nel film di Lizzani dedicato al Duce? Per non parlare di chi, sulla schermo o a teatro, ha indossato i panni di assassini seriali, stupratori, squali della finanza, giudici dell'Inquisizione?
Marinelli rimanga attore e lasci il pubblico a giudicare la sua interpretazione
L'elenco sarebbe lungo e, di sicuro, incompleto, perché la recitazione vive di finzione e, per essa, si possono indossare i panni anche di migliaia, se non di più, personaggi ingenerano orrore, ma che devono essere interpretati perché c'è anche questo nella valigia dell'attore.
Per questo, al di là dell'interesse sulla trasposizione filmica del libro che Antonio Scurati ha incentrato sulla figura, umana e ideologica, di Benito Mussolini, in questi giorni a tenere banco sono soprattutto le parole di Luca Marinelli, che interpreta quello che sarebbe diventato il Duce accompagnandolo negli anni di avvicinamento al potere e all'affermazione del fascismo in Italia e sulla democrazia.
Parole che hanno cercato di tradurre la contraddizione tra le sue convinzioni politiche e la sfida artistica che gli è stata proposta, interpretando quello che, per Marinelli, è il male assoluto. Lui, quindi, ha chiarito come sia stata una cosa ''veramente dolorosa, veramente forte, che naturalmente mi aspettavo, ma non pensavo di vivere con tanta intensità. Non mi volevo avvicinare a Mussolini e purtroppo ho dovuto farlo''.
Da una persona comune in fondo ci si aspetta di sentire ragionamenti del genere, come quando, ad esempio, ma è appunto solo un esempio per estremizzare il concetto, un avvocato dice che l'imputato è un epigono di Santa Maria Goretti e che, anche se è stato arrestato in flagranza di reato, è tutto un equivoco, che lui stava con le brache calate sopra una donna indifesa solo perché aveva ceduto la cintura.
Ma da un attore no, perché nessuno, almeno dalle nostre parti, può essere obbligato a recitare una parte, non condividendola, perché il rappresentare altri, e non sé stesso è l'essenza dell'arte attoriale.
Ve l'immaginate Emil Jannings dire a Joseph von Stemberg che lui proprio no, la parte del professore Rath, apprezzato cattedratico, ridicolizzato e ridotto ad una marionetta, con Lola Lola a tirarne i fili fino a ridurlo una caricatura di sé stesso, non l'avrebbe interpretata perché eroe non positivo? E di paragoni come questo potremmo farne a centinaia.
No, ci dispiace per Marinelli, ma le sue parole, se comprensibili in un altro contesto, oggi appaiono fuori sincrono, figlie di un modo di pensare che, se non conoscessimo la sincerità dell'attore, potrebbero sembrare intrise di ipocrisia. Ci limitiamo a dire questo e a non cadere nella volgarità in cui sono alcuni fini pensatori (che forse pensano di essere Howard Stern e sono invece una copia sbiadita) che lo hanno praticamente insultato.
Ci limitiamo, per ripeterci, a dire che capiamo quando dice che ''da antifascista mi ha spaventato il fatto di dovermi avvicinare, doverlo stare a sentire e dover stare con lui'', ma che questo sentimento dovrebbe manifestarsi per quel che Mussolini ha fatto e non per le idee politiche di un attore.
Perché, una volta che il sipario è calato, ogni attore torna sé stesso, lasciando solo al pubblico, e non alla Storia (che è cosa diversa) il giudizio.