Se guardassimo alle elezioni per la Regione Marche come ad un incontro di pugilato, dovremmo parlare di una vittoria del centrodestra per k.o, perché la sconfitta del cosiddetto campo largo (una definizione che oggi suona quasi come un controsenso) è stata inequivocabile, di quelle che, in un panorama politico normale, dovrebbe aprire ad una resa dei conti non tanto tra i partiti, quanto al loro interno.
Elezioni Marche: il centrodestra festeggia, mentre il campo largo è a pezzi
Almeno dentro il PD, che, da forza trainante dell'alleanza (era suo il candidato alla presidenza), non solo ha dovuto prendere atto del fallimento, l'ennesimo, del progetto, quanto subire lo smacco di non essere più il primo partito della Regione, sorpassato da Fratelli d'Italia.
Ma, se è arrivato il tempo dei bilanci, non è ancora quello del confronto interno al Pd, che c'è, c'é sempre stato e sempre ci sarà, ma che ad oggi sembra ancora lontano da quel chiarimento che, prima o poi, dovrà arrivare sulle prospettive di una segreteria che, pur di perseguire l'obiettivo di rimandare a casa Giorgia Meloni, ha allacciato alleanze con chi, alla fine, ha portato poco o nulla, non tanto in termini di voti - ciascuno ha quelli che si merita -, ma di contributo al buon esito del progetto.
Matteo Ricci, dopo la sconfitta, ha detto due cose di buonsenso, come sono tutte quelle che si limitano alle evidenze: la prima è che il suo avversario non era tanto il presidente uscente, Francesco Acquaroli, ma Giorgia Meloni, che ormai è talmente padrona del partito da potere dare una spinta decisiva anche a chi, come nel caso delle Marche, ha lavorato, ma portato a casa molti meno risultati di quelli che sperava.
La seconda cosa che Matteo Ricci mette a giustificazione della sua sconfitta è l'inchiesta su di lui che, da ex sindaco di Pesaro, avrebbe consentito che qualche maneggione che era alle sue dipendenze restasse con le dita sporche di martellata dopo avere infilate nel barattolo dei guadagni illeciti.
Fatto sta che sconfitta, prevista, è stata, e con numeri che restano chiarissimi, in valore assoluto e in significato politico.
E lo sono ancora di più se si pensa che il centrodestra (con il governo che, nelle settimane prima del voto, ha canalizzato verso la regione decine di milioni di euro, in termini reali e di promesse) ha stravinto nonostante il pessimo risultato della Lega che, anche nelle Marche, ha mostrato un progressivo calo dei consensi. Anche se questo non sembra scalfire la presa sul partito di Matteo Salvini, che in qualsiasi altra formazione politica avrebbe trovato chi gli avrebbe presentato il conto della sua gestione.
Certo è che ieri, con il suo risultato, la Lega, che ha più che dimezzato i consensi, è un problema per il centrodestra, anche se Fratelli d'Italia e Forza Italia non possono certo essere dispiaciuti che il loro rissoso alleato debba confrontarsi con una nuova pesante debacle.
Alla soddisfazione dei centrodestra fa da contraltare la delusione nell'opposizione, che però dovrebbe fare un mea culpa di quelli veri, cercando di attrezzarsi per le prossime sfide sempre per le regionali, in cui si gioca veramente tanto, se non tutto.
Il risultato delle Marche è abbastanza chiaro: il Pd, anche se perde parecchio, resiste; gli altri no.
E per altri, pensiamo soprattutto ai Cinque Stelle, che ormai stanno a galla, ad un passo dall'affondare. Perché, guardando ai numeri (7,1% nelle regionali del 2020; 13,6 % alla Camera nel 2022; 9,7 alle europee del 2024; 5,1% ieri), il partito/non partito mostra un calo continuo e, soprattutto, evidenzia l'involuzione di un messaggio politico che ha perso l'appeal sulla gente.
Che Giuseppe Conte - sempre a caccia della leadership della coalizione, quindi impegnandosi il giusto quando il candidato non è un grillino - con i suoi atteggiamenti si renda inviso ad una parte consistente del Pd fa parte del gioco, ma sino a quando regge. Perché i malpancisti in casa democratica salgono di numero, considerando troppe e ingiustificate le concessioni fatte ad un partito si cui si fidano, ma fino ad un certo punto.