Il presidente uscente della Regione Marche, Francesco Acquaroli, di Fratelli d'Italia, è stato confermato nella carica, aggiudicandosi, largamente, il confronto con Matteo Ricci, del Pd, che, alla guida della coalizione di sinistra, ha cercato un recupero nelle ultime ore di campagna elettorale, fidando in un'alta affluenza che però non c'è stata.
I dati, sebbene ufficiosi, sono chiarissimi: Acquaroli ha vinto (forse, si potrebbe dire, anche stravinto) e Fratelli d'Italia ha ottenuto un clamoroso sorpasso nei confronti del Partito democratico come primo partito della regione, aumentando di molti punti percentuali il risultato del 2020.
Il vantaggio del presidente uscente, quasi impercettibile all'inizio dello scrutinio, è costantemente cresciuto, allargando la forbice rispetto al suo principale avversario.
Se, alla fine del controllo ufficiale delle schede, il quadro di queste ore dovesse essere confermato (soprattutto nei voti dei singoli partiti e quindi nella ripartizione dei seggi: nel 2020 la Lega ne aveva 8, FdI 7 e Forza Italia 2) , partirà un domino politico, che vedrà coinvolti i partiti della attuale coalizione di governo nazionale dovere necessariamente trovare un accordo per i candidati nelle altre elezioni regionali che si avvicinano. Una trattativa alla quale Fratelli d'Italia si siederà con una posizione dominante, potendo a quel punto decidere chi candidare e dove, magari dando prova di magnanimità concedendo qualcosina agli alleati.
Un accordo che, al momento, è ancora lontano dall'essere raggiunto, perché le ambizioni dei singoli partiti sono difficilmente conciliabili, a meno che tutti, trovandosi intorno ad un tavolo virtuale di confronto, non accettino di fare un passo indietro (magari potrebbe bastare anche un passetto) pur di potersi ripresentare insieme all'esame dell'elettorato con ambizioni di vittoria.
Ribadendo che i dati delle Marche sono ancora passibili di correzione, anche se sembrano abbastanza vicini a quelli definitivi, il risultato appare meritevole di qualche considerazione. Che è naturalmente di politica attuale, ma soprattutto di prospettiva, dal momento che la coalizione di governo conferma la leadership di Fratelli d'Italia - e quindi di Giorgia Meloni -, con Forza Italia e Lega che, dopo avere preso atto della realtà delle cose, devono attrezzarsi per raggiungere i loro obiettivi, ma nella consapevolezza che per loro, vista la strabordante presenza di FdI, la situazione è molto complessa.
Guardando in casa del centrodestra, la situazione, al netto della vittoria della coalizione, potrebbe essersi molto complicata sulla scia dei risultati.
Partendo dal presupposto che, nelle ultime settimane, le Marche sono state per il governo il centro del mondo, con visite dei big e con misure adottate dal governo (e fortemente contestate dalla opposizioni) che hanno indirizzato verso la Regione un consistente flusso di finanziamenti, tutti hanno colto l'immagine plastica delle difficoltà che animano la Lega, che nelle elezioni del 2020 aveva ottenuto più del 20% complessivo e, quindi, sette consiglieri. Un risultato che alla luce di quello odierno è lontanissimo dal potere essere eguagliato.
Il partito di Matteo Salvini, fino alla serata, era accreditato del 7%, quindi ridotto, in termini di voti, ad un terzo di quanto ottenuto cinque anni fa.
Un dato che conferma il continuo arretramento della Lega in voti e percentuali, ponendo quindi, agli alleati, l'interrogativo su come relazionarsi con un partito che continua a reclamare candidati alla presidenza in virtù dei risultati passati, quasi che l'oggi non conti, oppure fidando sulla personalità e il prestigio dei singoli (come nel caso del Veneto, Luca Zaia che certo non può essere arruolato d'ufficio tra i più sfegatati supporter di Matteo Salvini).
Pur con la cautela dovuta alla mancanza ancora di ufficialità, la Lega ha subito un vero tracollo e questo potrebbe essere un problema ulteriore per Salvini che, sebbene si trovi davanti ad una unanimità di facciata del partito sulle sue posizioni, non può non vedere quanto cresca l'inquietudine dei leghisti di vecchia data nel vedere il movimento spostato su posizione di estrema destra. Certo a Pontida è stato tutto un acclamarlo, chiedendogli di pigiare ulteriormente il piede sull'acceleratore dell'estremismo, ma poi sono altri che vanno a votare. E se ormai l'afflato di sinistra che Umberto Bossi aveva dato alla Lega sembra un ricordo e sono evidenti le grandi manovre di Vannacci, la sicurezza strombazzata da Salvini forse è da ridimensionare.
A sinistra la sconfitta, sebbene messa in conto (i sondaggi davano per certa o quasi la vittoria di Acquaroli), ma forse non con l'ampiezza che si sta manifestando, potrebbe essere un elemento di disturbo alla creazione di una alleanza organica - anche se non sostanziata da accordi formali, ai quali Giuseppe Conte è a dir poco refrattario -, visto il risultato.
Quando ancora l'ufficialità è lontana, il Pd si conferma la forza trainante a sinistra, con AVS che galleggia e i Cinque Stelle che, almeno, hanno arginato il trend al ribasso. Ma il risultato odierno potrebbe portarsi dietro, nel Pd, delle polemiche alimentate da chi, da tempo ormai, non condivide la linea di Elly Schlein, sia sul fronte interno (gli ex democristiani chiedono maggiore considerazione), che in quello nei confronti degli altri partiti, a cominciare dai Cinque Stelle, verso cui la segretaria, a detta dei suoi contestatori, ha troppo ceduto, sia pure nel superiore interesse di fermare il centrodestra.