Politica

Il dossier Libia nuova mina vagante per il governo

Redazione
 
Il dossier Libia nuova mina vagante per il governo

Come la polvere sotto il tappeto, le vicende della sin troppo vicina Libia rischiano di essere un problema molto serio per l'Italia che, con il turbolento Paese nordafricano, ha rapporti stretti da molto tempo, anche se non completamente chiari, almeno agli occhi di chi ne è testimone e non protagonista.

Il dossier Libia nuova mina vagante per il governo

L'infortunio politico-diplomatico del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che, come componente di una delegazione europea, è stato rispedito in patria, per essere ritenuto persona non grata dai governanti del giorno a Tripoli, un vero e proprio crogiuolo di interessi e violenze reciproche, è solo un capitolo di una storia controversa, che dalla caduta del dittatore Muammar Gheddafi ha caratterizzato i rapporti italo-libici.

Finiti i tempi in cui Gheddafi, grazie al forte rapporto personale con Silvio Berlusconi, veniva accolto a Roma alla stregua di un re, consentendogli di trasformare la capitale in un Barnum fatto di arroganza e disprezzo delle consuetudini e convenzioni, sacrificate sull'altare degl interessi economici, oggi Roma è alla ricerca di interlocutori in un Paese che, della tratta e della detenzione di clandestini diretti in Europa, ha fatto il suo principale business, quando i capetti locali non sono impegnati a spararsi per conquistare rendite di posizione nella gestione del petrolio, mettendosi al servizio del potente di turno (come la Russia di Putin) più funzionale ai loro disegni per accaparrarsi tutto il possibile.

E poi c'è la grana di Almasri, il macellaio che, con le sue milizie, ha la gestione del 'dossier clandestini' e per questo, agli occhi del nostro governo, un elemento utilissimo, al punto di consentirgli, con qualcosa terribilmente somigliante ad una complicità, di evitare all'esecuzione di un provvedimento emesso dalla Corte penale internazionale dell'Aia.

La CPI lo accusa di nefandezze oltre ogni umana comprensione ai danni di persone che, saranno pure clandestini, che avranno pure attraversato in modo irregolare i confini (ma anche su questo ci sarebbe da discutere), ma restano esseri umani che hanno diritti che niente e nessuno possono calpestare al punto da fare sperare loro di morire piuttosto che sopportare ulteriori vessazioni.

Ora il tribunale dei ministri sta cercando di fare chiarezza sulle circostanze che hanno indotto il governo - nelle persone del guardasigilli Nordio e del suo collega degli Interni Piantedosi - dapprima a non dare corso alla richiesta della CPI di arrestare Almasri e, quindi, di riaccompagnarlo in Libia, usando un aereo nei nostri servizi segreti come fosse un Uber e umiliando i nostri uomini, costretti ad assistere ad un indegno spettacolo.

Ora di questa storia si avvicina l'epilogo e sarà interessante capire quale sarà il giudizio, se cioè soprattutto il ministero di via Arenula, decidendo di non decidere, sia andato oltre le sue prerogative e, quindi, violando non tanto le richieste dei giudici dell'Aia, quanto il diritto dell'Italia di continuare ad essere, per la giustizia internazionale, un partner affidabile e non solo qualcuno che, fiutando la direzione del vento, si adegua, anteponendo gli interessi del momento a quelli di uno Stato degno di restare assiso in un contesto internazionale.

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