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Da Leone XIV un atto d'accusa contro chi usa la fame come arma di guerra

Redazione
 
Da Leone XIV un atto d'accusa contro chi usa la fame come arma di guerra

Un discorso potente, dai contenuti forti come forte era lo spunto da cui è nato: parlare della fame nel mondo, davanti ai vertici della Fao, in occasione della Giornata mondiale dell'alimentazione. Parole che sono state un durissimo atto d'accusa verso chi nega il cibo agli affamati, usando questa scelta come fosse una strategia, come uno strumento criminale di sopraffazione.

Da Leone XIV un atto d'accusa contro chi usa la fame come arma di guerra

Leone XIV, davanti anche al presidente Sergio Mattarella, ha lanciato un messaggio inequivocabile, come era necessario davanti ad uno scenario internazionale che rimanda a guerre e conflitti, condotti in modo ''sporco'', al di fuori delle pure orrende consuetudini della guerre, ma anche per la condizione di milioni di persone che chiedono solo di potere sopravvivere alla fame.

Ed è stato a loro che il pontefice ha rivolto il suo pensiero, chiamando alla responsabilità di guarda e non fa nulla: ''Il silenzio di coloro che muoiono di fame grida nella coscienza di tutti, anche se spesso viene ignorato, messo a tacere o distorto. Non possiamo continuare così, perché la fame non è il destino dell'uomo, ma la sua rovina''.

Un lungo discorso al quale il pontefice ha voluto ricorrere, per la chiusa, al Vangelo di Matteo, che racconta come Gesù, davanti agli affamati, disse, rivolto ai discepoli: ''Date loro voi stessi da mangiare''.
Per Leone XIV manca la risposta della comunità internazionale a questa crisi, che non è nata ieri, ma che, da decenni, si manifesta in tutta la sua gravità, senza che si faccia molto per affrontarla al fine di risolverla.

''Il diritto internazionale umanitario - ha detto nel suo discorso - vieta senza eccezioni di attaccare i civili e i beni essenziali per la sopravvivenza delle popolazioni. Alcuni anni fa, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato all'unanimità questa pratica, riconoscendo il legame tra conflitti armati e insicurezza alimentare e stigmatizzando l’uso della fame inflitta ai civili come metodo di guerra. Questo sembra essere stato dimenticato, poiché, con dolore, siamo testimoni del continuo ricorso a questa strategia crudele, che condanna uomini, donne e bambini alla fame, negando loro il diritto più elementare: il diritto alla vita''.

Il linguaggio cui il pontefice ha fatto ricorso è stato chiaro, rivolgendosi al mondo, per il tramite della Fao, quando ha parlato di multilateralismo, di un contesto globale ''multipolare e sempre più interconnesso''.
Un mondo che, mentre la tecnologia corre dando risposte alle esigenze del progresso, sembra dimenticare che ''673 milioni di persone nel mondo vanno a letto senza aver mangiato e altri duemilatrecento milioni non possono permettersi un'alimentazione adeguata''.

''Segno evidente - ha detto - di un'insensibilità imperante, di un'economia senza anima, di un modello di sviluppo discutibile e di un sistema di distribuzione delle risorse ingiusto e insostenibile''.

Quindi, mentre ''la scienza ha allungato l'aspettativa di vita'', ''la tecnologia ha avvicinato i continenti'', ''la conoscenza ha aperto orizzonti prima inimmaginabili'' è un ''fallimento collettivo, uno smarrimento etico, una colpa storica'' permettere che ''milioni di esseri umani vivano – e muoiano – colpiti dalla fame''.

La fame, quindi, come ''fallimento collettivo'', insieme alla negazione dell'accesso ''all'acqua potabile, al cibo, alle cure mediche essenziali, a un alloggio dignitoso, all'istruzione di base''. Così come ad un lavoro che garantisca la dignità.

Leone XIV ha voluto soffermarsi sulla situazione in Ucraina, Gaza, Haiti, Afghanistan, Mali, Repubblica Centrafricana, Yemen e Sud Sudan, parlando di essi come solo ''alcuni luoghi del pianeta dove la povertà è diventata il pane quotidiano di tanti nostri fratelli e sorelle'', davanti ai quali la comunità internazionale ''non può distogliere lo sguardo'', rischiando di farci diventare ''complici nella promozione dell’ingiustizia''.
Per dare forza alle sue argomentazioni, il pontefice ha rivolto all'uditorio, ma anche al resto del mondo, delle domande rese quasi obbligate dall'assistere, quotidianamente, a ''paradossi scandalosi''.

''Come possiamo continuare a tollerare che vengano sprecate enormi quantità di cibo mentre moltitudini di persone si affannano a cercare nei rifiuti qualcosa da mettere in bocca? Come spiegare le disuguaglianze che permettono a pochi di avere tutto e a molti di non avere nulla? Come non fermare immediatamente le guerre che distruggono i campi prima delle città, arrivando persino a scene indegne della condizione umana, in cui la vita delle persone, e in particolare quella dei bambini, invece di essere curata, svanisce mentre vanno in cerca di cibo con la pelle attaccata alle ossa?''.

Da qui il forte appello a non limitarsi più a ''proclamare valori'', ma ad incarnali, perché ''gli slogan non liberano dalla miseria. È urgente superare un paradigma politico così aspro, basandoci su una visione etica che prevalga sul pragmatismo vigente che sostituisce la persona con il profitto" e "riesaminare i nostri stili di vita, le nostre priorità e il nostro modo di vivere nel mondo di oggi''.

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