"E come potevamo noi cantare, con il piede straniero sopra il cuore'', diceva Salvatore Quasimodo, parlando di guerra e dolore, di salici e di cetre che oscillavano sospinte dal vento. Ecco, con un pizzico di aulica fantasia, ieri sera, quando l'arbitro ha fischiato la fine del nuovo disastro del calcio italiano, forse quel piede straniero di cui Quasimodo parlava calcava uno scarpino numero 46, quello di Erling Braut Haaland, che, dopo avere dormicchiato per tre quarti del tempo, si è svegliato giusto in tempo per stamparci un uno-due sulla faccia che l'Italia pallonara ricorderà per molto tempo.
L'Italia del calcio si vergogna, ma non tanto quanto dovrebbe
Almeno fino a marzo, quando, sperando che la fortuna non ci giri le spalle, cercheremo di superare i playoff e di tornare ad un mondiale che oggi certo non meritiamo. Ma, già da ora, sappiamo che sarà difficile, perché, nell'ordine, non abbiamo giocatori all'altezza di competere con le nazionali più forti e soprattutto paghiamo anni di assoluta inefficienza della Federazione, e quindi le falle di un sistema che non riesce a trovare contromisure efficaci al costante declino di questo sport che, lentamente, pur restando nel cuore di molti, non sa appassionare più nessuno.
Perdere per 1 a 4 contro la squadra più forte del girone, che ha vinto tutte le partite e che ha messo in cascina una differenza reti spaventosamente rassicurante ci può stare. Ma è il modo che fa male e certo non rasserena o rassicura sentire che il direttore tecnico della Nazionale, Gennaro Gattuso, della partita di ieri ha detto di salvare il primo tempo.
Ora, senza per questo volere affondare il coltello nella ferita che sanguina, potremmo dire a Gattuso che una partita si articola in due tempi e che quindi bisogna giocarla sino alla fine, altrimenti si rischia di perderla, per dirla lapalissianamente.
Ora, cercando di tornare ad essere seri, ci chiediamo se un Paese che ha in bacheca quattro Coppe del Mondo debba assistere a prestazioni come quella di ieri, figlia, oltre che della pochezza del parco giocatori, anche da una approssimazione che sarebbe dilettantesca se non fosse conseguenza di una gestione affidata a professionisti, di lunga esperienza, ma che, proprio per questo, per calcare i palcoscenici del calcio da decenni, dovrebbero fare prevalere l'interesse del movimento rispetto alle loro amicizie.
Questa Federazione è a ''trazione Buffon'', ormai diventato l'uomo forte della Nazionale e che, per quel che appare evidente, è stato il più grande sponsor di Gattuso sostituto di Spalletti, nonostante il suo palmares sia, nei fatti, non proprio quello che si richiederebbe al C.T. della Nazionale.
Poi, immancabilmente, i nodi vengono al pettine e oggi se ne pagano le conseguenze.
Le vittorie messe in fila da Gattuso sono state importanti dal punto di vista delle statistiche, ma ottenute, anche a fatica, con squadre che, nei bei tempi che furono, sarebbero state scelte appena come sparring partner, tra una partita vera e l'altra.
Invece, senza mettere la tara al valore degli avversari, le vittorie sono state celebrate come chissà cosa, quando invece il gioco espresso è stato quel che è stato (brutto), tenendo conto contro chi abbiamo giocato. La sconfitta con la Norvegia è anche conseguenza di alchimie strane, come cambiare modula da una partita all'altra, come non schierare Tonali (ammonito) per preservarlo da una possibile squalifica guardando ai playoff e non considerando che il centrocampista del Newcastle è elemento fondamentale e, quindi, anche per rispetto per il nostro blasone. forse poteva anche essere rischiato. E invece è stato tutelato, come se parlassimo di un ragazzino di dodici anni e non invece di un professionista. Stessa cosa è accaduta con la Moldova, quando è stato lasciato in panchina Barella, oggi uno dei più efficaci, pur se nella pochezza generale.
E in tutto questo il presidente Gravina (nella foto) cosa fa?
Al momento tace, almeno con dichiarazioni ufficiali. Forse è anche giusto, ma da chi comanda la Federazione, dal 2018, eletto e rieletto con percentuali che un tempo sarebbero state definite bulgare, resta al timone della FIGC senza dare il minimo segnale di cedimento, forte del suo mandato pluriennale e che lo garantisce dal punto di vista ''grammaticale''.
Ma il resto, l'ennesimo fallimento della Nazionale maggiore com'è che non induce ad una riflessione profonda, magari ripensamento delle scelte recenti?
Da qui a marzo mancano mesi, pochi o troppi dipende da quello che il vertice del calcio nazionale riterrà di fare oggetto di una presa di coscienza degli errori e, quindi, mostrando la capacità di porvi rimedio.
Il tracollo in salsa vichinga lascia macerie, con solo pochi elementi su cui porre fiducia, senza esagerare. Pio Esposito, anche se ha segnato un paio di gol, è ancora un acerbo progetto su cui continuare a investire; Barella e Tonali possono anche essere una garanzia, insieme a Dimarco. Ma se anche Bastoni gioca male, come ieri, insieme agli altri ''senatori'', allora sarebbe meglio prendere decisioni coraggiose.
Magari rischiando un'altra bocciatura, ma chiamando qualcuno dei ragazzini che stanno crescendo nelle nazionali giovanili. Perché il rischio vero è che, nel caso in cui riuscissimo ad arrivare comunque al mondiale, lì troveremmo squadre realmente forti, che ci prenderebbero a pallonate.
Ma noi siamo l'Italia del clan, un meccanismo che è solo autodistruttivo, e quindi c'è da stare certi che, come dicevano i comandanti delle vecchie navi a valore, andremo ''avanti adagio, quasi indietro''.