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Israele: l'altra diaspora, dopo il 7 ottobre​

Redazione
 

Il 7 ottobre 2023 è un giorno che ha segnato un nuovo inizio nella storia di Israele, quando migliaia di militanti di Hamas hanno superato le difese di confine del Paese, ucciso 1.200 persone e trascinato altre 250 a Gaza in un assedio che ha colto di sorpresa l'esercito israeliano e sbalordito una nazione che si vanta della sua abilità militare ma che, durante quello che è diventato noto come l'11 settembre di Israele, ha atteso il suo esercito per ore, inutilmente.

Israele: l'altra diaspora, dopo il 7 ottobre

Da allora una crescente sensazione di timore e sfiducia si è impadronita degli israeliani: quanto accaduto ha infranto ogni senso di sicurezza e, con esso, la promessa fondante di Israele, essere per gli ebrei, nel mondo, un rifugio sicuro. E così, secondo le statistiche governative, e nonostante Israele e Hezbollah abbiano raggiunto un (fragile) accordo di cessate il fuoco lungo il confine con il Libano e Israele e ci siano speranze anche per un analogo accordo a Gaza, migliaia di israeliani hanno lasciato la ''terra promessa'', come confermato anche dai conteggi sull'immigrazione pubblicati dai Paesi di destinazione come Canada e Germania.

"C'è una cosa che mi preoccupa in particolare: i discorsi sull'abbandono del Paese. Questo non deve accadere", aveva scritto su X a giugno l'ex premier Naftali Bennett, critico accanito del Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Israele, ha scritto, ''ha bisogno di trattenere i talenti'', aggiungendo: "Chi vuole tornare ai giorni dell'ebreo errante, senza vera libertà, senza uno Stato, soggetto a ogni capriccio antisemita?".
Parole che non sono riuscite ad arginare l’effetto del 7 ottobre sull'emigrazione israeliana, sufficiente anche a determinare che importanti personalità israeliane riconoscano pubblicamente il fenomeno e mettano in guardia contro un crescente antisemitismo altrove.

Inoltre, si fa strada il timore di una "fuga di cervelli" in settori come la medicina e la tecnologia. Gli esperti di migrazione affermano che è possibile che, nel 2024, le persone che lasciano Israele superino il numero di immigrati. Sergio Della Pergola, statistico e professore emerito dell'Università ebraica di Gerusalemme, ha dichiarato: "Secondo me, quest'anno le persone in entrata saranno meno numerose del totale delle uscite", ha detto. "E questo è abbastanza unico nell'esistenza dello Stato di Israele".
Anche altri indizi indicano la tendenza ad abbandonare il Paese: Gil Fire, vicedirettore del Tel Aviv Sourasky Medical Center, ha affermato che alcuni dei suoi specialisti di punta con incarichi di fellowship di alcuni anni in altri Paesi hanno iniziato a esitare sul ritorno. "Prima della guerra, tornavano sempre e restare non era davvero considerata un'opzione. Durante la guerra abbiamo iniziato a vedere un cambiamento. Ci hanno detto, 'Restiamo un altro anno, forse due anni, o forse di più'".

Fire afferma che si tratta di "un problema preoccupante", tale da spingerlo a pianificare nei prossimi mesi visite personali a questi medici per convincerli a tornare in Israele.
Migliaia di israeliani, dunque, hanno scelto di pagare i costi finanziari, emotivi e sociali di una migrazione ed è possibile che il 2024 finisca con più israeliani che lasciano il Paese di quanti ne entrano. L'Ufficio centrale di statistica di Israele ha stimato a settembre che 40.600 israeliani sono partiti per un lungo periodo nei primi sette mesi del 2024, un aumento del 59% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, quando sono partite 25.500 persone. Ogni mese sono partite 2.200 persone in più rispetto al 2023, ha riportato la CBS.
I numeri sono altrettanto drammatici nei paesi di destinazione. Più di 18.000 israeliani hanno fatto domanda di cittadinanza in Germania nel 2024, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2023 e tre volte rispetto all'anno precedente, ha riferito il Ministero dell'Interno tedesco a settembre.

Il Canada, che ha un programma di visti di lavoro triennale per israeliani e palestinesi in fuga dalla guerra, ha ricevuto 5.759 domande di permesso di lavoro da cittadini israeliani tra gennaio e ottobre di quest'anno, ha detto il governo all'Associated Press. Nel 2023, le domande erano 1.616, secondo i dati riferiti da Immigration, Refugees and Citizenship Canada.
Non tutti però in Israele possono semplicemente fare le valigie e trasferirsi all'estero e chi lo fa spesso ha passaporto straniero e un lavoro presso multinazionali oppure da remoto. A Gaza, poi, i cittadini hanno ancora meno scelta. La stragrande maggioranza dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza è stata sfollata dai bombardamenti israeliani dall’ottobre 2023, eppure nessuno è stato in grado di lasciare l'enclave da maggio. Prima di allora, si ritiene che almeno 100.000 palestinesi abbiano lasciato Gaza, le cui autorità sanitarie affermano che i bombardamenti israeliani hanno ucciso più di 45.000 persone.

Per i primi decenni di indipendenza di Israele, il governo ha fortemente scoraggiato gli israeliani che se ne andavano, considerati codardi e persino traditori. Una sacra fiducia e un contratto sociale hanno preso piede nella società israeliana, in questi termini: i cittadini israeliani avrebbero prestato servizio nell'esercito e pagato tasse elevate. In cambio, l'esercito li avrebbe tenuti al sicuro. Nel frattempo, è dovere di ogni ebreo restare, lavorare e combattere per la sopravvivenza di Israele. “L'emigrazione era una minaccia, soprattutto nei primi anni, quando era necessario costruire la nazione”, osserva Ori Yehudai, docente di Studi israeliani presso l'Ohio State University e autore di "Leaving Zion", storia dell'emigrazione israeliana. Eppure, anche se "le persone sentono ancora di dover giustificare la loro decisione di trasferirsi", la fuga da Israele continua.

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