L’Italia brucia. E non è un modo di dire. Da gennaio a metà luglio 2025 sono già andati in fumo quasi 31mila ettari di territorio, una distesa grande quanto 43.400 campi da calcio. Una cifra che spaventa, soprattutto perché dietro ogni ettaro carbonizzato si nasconde una storia di abbandono, ritardi, mancata prevenzione e spesso anche dolo.
SOS incendi, Legambiente: nei primi 7 mesi del 2025 bruciati 30.988 ettari in Italia
A fotografare questo scenario drammatico è l’ultimo report di Legambiente, significativamente intitolato “L’Italia in fumo”, che accompagna i numeri con una proposta concreta per invertire la rotta. I dati parlano chiaro: dal 1° gennaio al 18 luglio si sono verificati 653 incendi, con una media di oltre tre al giorno. La superficie media interessata da ogni rogo è di 47,5 ettari, e il Sud, come ormai tristemente noto, è l’epicentro di questa emergenza. La Sicilia guida la classifica nera con 16.938 ettari bruciati in 248 eventi, seguita da Calabria, Puglia, Basilicata, Campania e Sardegna.
Dietro questa emergenza si nasconde non solo la mano del piromane, ma anche quella ben più silenziosa e colpevole delle istituzioni: Il Paese – denuncia Legambiente – paga lo scotto dei troppi ritardi, della frammentazione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali, e della totale assenza di una strategia nazionale integrata. A rendere il quadro ancora più cupo c’è la crisi climatica, che moltiplica le condizioni favorevoli allo sviluppo degli incendi, e l’ombra delle ecomafie, che continuano a trarre profitto da un territorio mal custodito. Secondo l’ultimo Rapporto Ecomafia, nel 2024 si sono registrati 3.239 reati legati agli incendi, con 459 persone denunciate e 14 arresti. E sebbene il numero complessivo di reati sia in calo rispetto all’anno precedente, aumentano gli arresti, segno che le forze dell’ordine stanno affinando gli strumenti investigativi.
La realtà, tuttavia, è amara: il 95% degli incendi dolosi resta senza colpevoli. “Per contrastare davvero gli incendi boschivi – spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – non basta concentrarsi sull’emergenza estiva o su singole cause. Serve un approccio integrato che comprenda prevenzione, rilevamento, monitoraggio e lotta attiva. Dobbiamo promuovere una gestione territoriale efficace, che valorizzi le risorse agro-silvo-pastorali, ma anche riconoscere e sostenere il ruolo delle comunità rurali come presidio attivo del territorio. È inoltre necessario applicare con rigore la normativa esistente per impedire qualsiasi speculazione sulle aree bruciate e rafforzare le indagini per smascherare gli interessi criminali dietro ai roghi. Mappare i punti d’innesco e i luoghi colpiti è essenziale per arrivare ai responsabili”.
Tra le aree più martoriate figurano anche quelle naturali protette, spesso veri scrigni di biodiversità. Oltre 6.260 ettari bruciati rientrano nella rete Natura 2000, con la Puglia e la Sicilia in testa per danni registrati. A Dualchi, in provincia di Nuoro, l’incendio più devastante ha mandato in fumo 439 ettari all’interno di un’area protetta. E non va meglio sul fronte della prevenzione formale. I Piani Antincendio Boschivo (AIB), obbligatori per legge nelle aree protette, latitano.
Dei 24 parchi nazionali, solo otto hanno completato l’iter di adozione del piano, mentre cinque hanno visto scadere quelli esistenti e sono ancora in fase di rielaborazione. Anche tra le 67 Riserve Naturali Statali, solo otto hanno approvato il loro Piano AIB. Le altre 59 sono ancora in alto mare. “La frammentazione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali – sottolinea Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette di Legambiente – è uno dei punti deboli principali del sistema. Anche se la normativa si è evoluta, con l’obiettivo di rafforzare le pene e promuovere la prevenzione attraverso la pianificazione del paesaggio, l’efficacia resta limitata. Serve un cambio di paradigma: una governance coordinata e integrata, capace di pensare sul lungo periodo”.
Nel frattempo, però, non tutto è immobilismo. Legambiente sottolinea anche alcune buone pratiche già in atto che potrebbero essere replicate su scala nazionale. Si va dalle Fire smart community ai Fire smart territory, passando per il pascolo prescritto come strumento di riduzione del rischio, la pianificazione integrata adottata in Piemonte, i Piani Specifici di Prevenzione (PSP) in Toscana e il progetto innovativo realizzato in Abruzzo con INWIT, che utilizza tecnologie basate sull’Internet of Things per anticipare e monitorare i focolai.
Non è quindi solo un grido d’allarme, quello lanciato da Legambiente, ma anche una chiamata all’azione. L’associazione ha elaborato un pacchetto di 12 proposte, il cui filo conduttore è l’integrazione: tra istituzioni, strategie, competenze e territori. Si chiede un miglior coordinamento tra enti per una gestione unitaria degli incendi boschivi, l’integrazione delle politiche di adattamento climatico con quelle forestali, la valorizzazione sostenibile delle zone rurali e l’utilizzo del pascolo come forma preventiva.
Legambiente propone inoltre di coinvolgere direttamente le comunità locali nella prevenzione, trasformandole in sentinelle del territorio, e di garantire dati aggiornati e facilmente accessibili attraverso un catasto delle aree percorse dal fuoco. Non meno importante è la richiesta di prevedere il ripristino ecologico delle aree bruciate, di integrare i piani urbanistici con quelli antincendio e di rafforzare i presidi dello Stato sul campo. In parallelo, si chiede un inasprimento delle pene per ogni forma di incendio, anche non boschiva, e una maggiore efficacia nell’applicazione delle norme esistenti.