FOTO: Snehrashmi - CC BY-SA 4.0
La riqualificazione degli spazi assume sempre più rilevanza in un contesto in cui si tende a recuperare piuttosto che costruire ex novo: vale in Italia, dove il Pnrr sostiene progetti che vedono la rinascita di borghi dimenticati e ancora più spesso spopolati, dato che i giovani preferiscono tentare la fortuna, o perseguire progetti di vita, nelle grandi città, e accade anche all’estero, dove interi centri attraggono attenzione tale da tornare a nuova vita dopo lunghi periodi di abbandono.
Palazzi abbandonati, ricordi di opulenza: le havelis di Sidhpur e le città fantasma italiane
È il caso di Sidhpur, nello stato del Gujarat, nell'India occidentale: il percorso per giungere a destinazione si snoda attraverso paesaggi aridi, superando ristoranti lungo la strada e mandrie di cammelli. A meno di tre ore di auto dalla capitale del Gujarat, Ahmedabad, Sidhpur nasconde una strada fiancheggiata da maestose ville a tre e quattro piani, note come havelis, declinate in sbiadite tonalità pastello, dal verde acqua al rosa confetto fino al verde pistacchio: sulla strada conosciuta localmente come Paris Galli, o Paris Street, i visitatori si trovano all’improvviso in una città europea caratterizzata da una grandiosa architettura neoclassica e un'armoniosa miscela di stili Art Déco, Barocco e ibridi indiani.
Un’affascinante mistura che ricorda per certi aspetti Alessandria d’Egitto e che si deve ai Dawoodi Bohras, setta musulmana sciita che si stabilì per la prima volta in questa parte dell'India occidentale nell'XI secolo: una comunità commerciale originaria dell’Egitto e che ha viaggiato per il Nord Africa, il Medio Oriente e l'Asia meridionale per commerciare spezie, gemme e profumi.
La sede della setta è stata poi spostata dallo Yemen a Sidhpur, dove i seguaci hanno mostrato prosperità e ricchezza costruendo centinaia di residenze opulente nella prima metà del XX secolo. Questi gruppi di abitazioni erano chiamati Bohrawad o Vohrawad, e i proprietari delle ville cercavano di superarsi a vicenda con arredi sempre più lussuosi, oppure organizzando grandi cene.
All’epoca, il maharaja della regione, Sayajirao Gaekwad III, era noto per essere un appassionato di architettura europea e stabilì rigide regole di pianificazione, ispirate dall'urbanista scozzese Patrick Geddes, vissuto in India tra il 1914 e il 1924, che diedero vita a paesaggi urbani sorprendentemente uniformi, secondo l'architetto nato a Sidhpur Zoyab A. Kadi: "I Bohras estesero il loro aiuto ad altre comunità durante una carestia nei primi anni del 1900 e in cambio il Maharaja di Baroda regalò loro un appezzamento di terra, poiché stavano affrontando una carenza di alloggi", ha detto.
Le residenze che testimoniano un passato tanto fiorente si trovano principalmente nel distretto di Najampura: sono fatte principalmente, oltre che di intonaco e mattoni, in legno, materiale flessibile adatto a costruire nelle regioni soggette a terremoti. I progetti presentano tetti a due falde, pilastri e colonne, porte intagliate e finestre decorate "jharokha" che sporgono dalla parte anteriore di ogni villa.
Il piano principale si trova sopra il livello della strada sopra un seminterrato; plinti a gradini, o "otlas", fungono da portici e erano tradizionalmente utilizzati come spazi sociali; monogrammi stravaganti, con iniziali di famiglia o cognomi in inglese, sono spesso esposti sulle facciate degli edifici. Pur fatiscenti, queste ville magnifiche conferiscono alla città un fascino particolare dovuto alla decadenza, immortalata dal fotografo indiano Sebastian Cortés, che raffigura la città e la sua gente in "Sidhpur: Time Present Time Past".
I nomi delle case, come Zainab Mansion e Kagalwala Manor, spesso fanno riferimento a chi vi ha vissuto e alcune colpiscono l’immaginazione, come casa Zaveri, nota come la casa con 365 finestre, anche se nessuno le ha mai contate davvero, con i suoi grandi pilastri e le sculture geometriche della facciata e la Teen Khuniya, casa a tre angoli, dalla caratteristica pianta triangolare: “Questa casa in particolare ha un albero genealogico così vasto che probabilmente ci sono almeno una ventina di comproprietari”, aggiunge Kadi a proposito di casa Zaveri.
Le havelis a schiera dei Vohravaad di Sidhpur erano divise in cinque zone: dehli (zona di servizio), chowk (con angolo cottura e bagno, aperto verso il cielo per garantire luce e ventilazione), pursaal esterno (stanza multiuso), pursaal interno e orda (la stanza migliore della casa, ad uso del capofamiglia): “Stando sulla strada, non si può vedere oltre il primo scomparto a causa di un velo chiamato furtaal, che protegge la privacy della casa”, aggiunge Kadi.
Gli interni erano spesso una festa per gli occhi, decorati con piastrelle geometriche, fregi, tappeti persiani, mobili in mogano scuro e palissandro, specchi belgi, angolari antichi, cimeli di famiglia e una speciale nicchia in marmo destinata a conservare l'acqua, che in quanto rara ha uno status importante nell'Islam ed è utilizzata per pulire o purificare la casa. "L'architettura di Sidhpur è davvero unica", ha affermato Kadi, "poiché gli edifici ispirati a idee ed elementi occidentali sono stati realizzati da architetti indù e riadattati allo stile di vita islamico".
Dopo l’Indipendenza, gran parte dell’élite mercantile emigrò verso metropoli come Mumbai, Ahmedabad e Surat, o oltre i confini, stabilendosi in Africa orientale e in Europa. Queste dimore storiche, testimoni silenziose di un fasto ormai lontano, sono talvolta visitate, ma restano perlopiù abbandonate, chiuse o intrappolate in grovigli legali tra i discendenti degli ex proprietari, mentre altre sono state demolite e gli oggetti d'antiquariato e il legname venduti dai proprietari.
Per aiutare a preservare le ville in via di scomparsa, Kadi ha co-fondato il Sidhpur Heritage Collective nel 2024: "Purtroppo, in India non ci sono leggi sul patrimonio che impediscano la demolizione di case private", ha detto Kadi. "Non abbiamo fondi o enti che ci aiutino in questo progetto. Anche la conversione di queste case in homestay e Airbnb non è ancora decollata. Sidhpur ha molto da offrire oltre a queste dimore, da una ricca cultura gastronomica a templi e moschee. Possiamo solo sperare che riusciremo a salvare l'architettura della città prima che venga distrutta per sempre. Questo richiede la volontà pubblica e i finanziamenti".
Il problema è sempre lo stesso: il denaro necessario per il recupero, come evidenziano anche 19 città fantasma in Italia che attendono di tornare a nuova vita: spesso di loro non restano che sussurri che si susseguono nel tempo, un cumulo di mattoni, una striscia d’asfalto tra le sterpaglie, come Craco, in Basilicata, borgo abbandonato dagli anni Settanta; oppure Civita di Bagnoregio, che ha incantato celebrities come Harry Styles, che qui ha comprato casa. Alcune sono già di diritto entrate nel mito, nella memoria, nella storia vera e in quella del cinema: tra esse, Consonno, che doveva essere la Las Vegas della Brianza, la visione realizzata di un imprenditore ambizioso.
La natura però ha reagito con varie interferenze, fino a una poderosa frana, e così il progetto è naufragato. Oppure, Buonanotte: non un modo di dire bensì un affascinante borgo in Abruzzo, che cela nel suo nome un passato oscuro.
Un tempo chiamato Malanotte, il villaggio porta con sé l’eco di una leggenda di guerra e sconfitta, dove il tributo imposto ai vinti fu tanto crudele quanto indelebile. Il desiderio di cancellare quell’onta spinse gli abitanti all’esodo, ma il tempo, anziché seppellirne la memoria, ne ha fatto un luogo di irresistibile suggestione, segnalato tra i più evocativi dalla guida Lonely Planet: la speranza, per tutti, è che presto si possa tornare a un più fulgido giorno.