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Giovani e lavoro, tra disoccupazione, competenze e illusioni digitali, l’Italia cerca una rotta

Redazione
 
Giovani e lavoro, tra disoccupazione, competenze e illusioni digitali, l’Italia cerca una rotta
Per molti giovani italiani la ricerca di un’occupazione è diventata essa stessa un lavoro: candidature compulsive, colloqui, stage non retribuiti, rifiuti seriali. I dati non lasciano spazio alle interpretazioni. Secondo l’Istat, ad aprile il tasso di disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni si attesta al 19,2%, mentre l’Italia rimane tra i Paesi europei con la quota più alta di NEET, giovani tra i 15 e i 29 anni né occupati né inseriti in percorsi formativi. Secondo Eurostat, la percentuale italiana è stabilmente sopra la media UE. Una condizione che coinvolge 1,4 milioni di giovani e costa al Paese 15,7 miliardi di euro, come ricorda il Censis nel suo 58° Rapporto.

Giovani e lavoro, tra disoccupazione, competenze e illusioni digitali, l’Italia cerca una rotta

Alla domanda su come preparare le nuove generazioni all’ingresso nel mondo del lavoro, Marco D’Oria, direttore della Business School Digital Campus e dottorando in Neuroscienze comportamentali alla IULM, osserva che occorre abbandonare alcune illusioni. D’Oria afferma che non basta un profilo curato sulle piattaforme di recruiting, una foto gradevole o un CV impeccabile, questi elementi rappresentano soltanto prerequisiti. L’approccio deve diventare più strategico, fondato su creatività, concretezza e relazioni. Ritiene infatti che presentarsi a un colloquio con idee precise su cosa migliorare e su come contribuire all’azienda faccia la differenza, così come costruire connessioni autentiche e non limitarsi all’invio impersonale di candidature.

D’Oria aggiunge che chi ha poca esperienza potrebbe considerare anche brevi periodi di lavoro non retribuito, posizione impopolare ma che, nelle sue parole, permette di “overdeliverare”, cioè di dare più di quanto ci si aspetti, accrescendo il proprio valore sul mercato. Una strategia che punta a trasformare la mancanza di esperienza in opportunità di crescita.

Accanto agli aspetti tecnici, le soft skills restano centrali. Resilienza, adattabilità e apprendimento continuo sono competenze irrinunciabili per una transizione efficace dalla scuola al lavoro, come confermano sia le analisi dell’Ocse sia gli studi accademici pubblicati su Sustainability e su ricerche dell’Università di Bologna. Comunicazione, capacità decisionale e collaborazione emergono come competenze chiave per orientarsi nelle prime fasi della carriera e per crescere professionalmente.

La transizione, però, non può essere affidata unicamente ai giovani. Le imprese stanno modificando rapidamente le proprie richieste, cercano profili flessibili, capaci di muoversi tra diversi ruoli e di aggiornare le proprie competenze, soprattutto in settori dove l’innovazione tecnologica procede senza tregua, dall’intelligenza artificiale al digital marketing. Al tempo stesso, il mercato del lavoro italiano continua a mostrare debolezze strutturali. Come rileva Reuters in base ai dati Istat, non basta aumentare i contratti disponibili se i percorsi formativi non generano occupabilità reale.

D’Oria sottolinea inoltre che il lavoro non è più lineare. Da un lato, migliaia di occupazioni sono minacciate dall’automazione e dall’AI, dall’altro, alcuni settori non trovano personale qualificato. Serve colmare questo divario con interventi mirati.

Un contributo può arrivare dai percorsi di work-based learning, che permettono agli studenti di acquisire competenze applicate e immediatamente spendibili. Altrettanto cruciale è il potenziamento delle competenze digitali. L’Italia si colloca al 45,8% di cittadini con competenze digitali di base, lontana dalla media europea del 55,6%, secondo la Digital Skills Jobs Platform della Commissione UE.

D’Oria conclude che comprendere i meccanismi comportamentali, attenzione, motivazione, bias cognitivi, e mantenere un dialogo costante tra formazione e aziende potrebbe rendere i percorsi più aderenti alla realtà del lavoro. Una via lunga, ma necessaria, per trasformare un’emergenza generazionale in una possibilità di riscatto.
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