Di fronte a certe notizie, l’unica reazione ragionevole sarebbe il silenzio. Ma il silenzio è una virtù troppo aristocratica per il teatrino dei social contemporanei, e ancor più incompatibile con lo spirito esibizionistico di chi ha fatto del proprio ego un brand e del proprio account Instagram un pulpito su cui officiarsi. Così, mentre un povero ciclista si dibatteva tra escoriazioni e barella, Elisabetta Franchi — la vestale emiliana del prêt-à-porter griffato Betty Blue — trovava il tempo, il modo e persino la faccia di fare selfie sull'incidente.
Il lunedì della stilista: cappuccino sì; croissant pure; “ciclista investito” anche...
Sì, proprio l’investimento di un essere umano, trasformato in contenuto glamour, con tanto di filtro, emoji e didascalia sdolcinata, nel sublime solco dell’autocommiserazione. Una scena da Autodromo di Imola, che pare scritta da Ionesco: una donna investe un ciclista, lo fotografa in barella, lo posta tra una foto di stivali e una pubblicità di Dallara, e si compiange per il lunedì rovinato. Il tutto condito da un lessico che oscilla tra il pressapochismo grammaticale e l’egocentrismo lirico. ''Mi dispiace molto. È la prima volta. Mi dispiace tanto'', dichiara. Una litania quasi pascoliana, se non fosse per la totale assenza di empatia e per il tono da bimba viziata cui hanno appena rotto il giocattolo nuovo.
Non bastasse, rincara la dose: ''Non l’ho proprio visto. Ma almeno non si è fatto male. Il mio lunedì'', quasi chiedendosi come mai il ciclista non avesse montata sulla spalle una immensa freccia lampeggiante per dire che era lì.... Ecco, appunto. Il suo lunedì: cappuccino, croissant… e ciclista. Che, immaginiamo, sarà stato decisamente meno instagrammabile. Meno chic, magari coi pantaloncini sdruciti ed un collare ortopedico come accessorio. E soprattutto con la sgradevole sensazione di essere diventato, suo malgrado, un oggetto di storytelling da influencer da salotto.
Ma siccome non c’è mai fine al peggio, e nemmeno alla vergogna, dopo l’incidente la nostra fashionista dell’empatia decide di riflettere pubblicamente sul destino crudele che impedisce ai comuni mortali di lanciarsi con bolidi da centinaia di migliaia di euro su strade popolate da fastidiosi elementi di disturbo come altri esseri umani, o viventi in generale. ''Io amo le macchine sportive. Le compro, mi piace guidarle. Ora mi sta arrivando una macchina bellissima, una Dallara. Ma dove le posso guidare? In autostrada no, perché mi fanno la multa. Se vado dal mio coach, c’è il ciclista che ti arriva lì davanti''.
Il ciclista, sempre lui. Quella fastidiosa presenza organica che intralcia il sublime esercizio del diritto divino alla velocità. E poi il coup de théâtre finale, che avrebbe meritato un’ovazione a Cannes, se solo si trattasse di una black comedy: “Gliel’ho detto: sarei voluta essere al tuo posto”. Una frase di rara e stupefacente impudenza, che pare estratta da un monologo di Blanche DuBois dopo una bottiglia di bourbon. Lei, al posto del ciclista. La povera Franchi. La vera vittima. A fronte di questa pantomima tragicomica, non sorprende che l’opinione pubblica si sia sollevata come una tempesta barocca. In tanti hanno sottolineato l’inopportunità di riprendere un ferito, l’indecenza di trasformare un atto potenzialmente letale in una scenetta tragicomica per le stories, e l’illegalità (non proprio secondaria) di usare lo smartphone alla guida.
Abitudine, peraltro, già ampiamente documentata sul suo stesso profilo social, come in un’autodenuncia continuativa che sfida qualunque senso del ridicolo. E non è nemmeno la prima volta che la stilista bolognese inciampa, o meglio, rovina di faccia sul selciato del buon gusto e del senso comune. Indimenticabile resta l’exploit del 2022, quando dichiarò candidamente di assumere solo donne over 40, perché ''hanno già fatto tutti i giri di boa'': matrimonio, figli, divorzio, e dunque pronte a servire l’azienda h24. Una visione dell’umanità femminile che avrebbe fatto rabbrividire perfino Elon Musk, uno non certo tenero coi suoi dipendenti al punto da licenziare via tweet. E che, difatti, le è valsa una condanna per discriminazione dal Tribunale di Busto Arsizio, oltre che una sonora lezione sul concetto di dignità lavorativa. La giudice, con uno zelo che meriterebbe il plauso della Treccani, ha persino imposto alla sua azienda corsi di rieducazione alla parità di genere, contro i pregiudizi su età e carichi familiari.
Peccato che nessun corso sembri in grado di colmare l’abisso tra l’ostentazione e la sostanza. Perché qui non si tratta solo di una gaffe, di un inciampo verbale o di un difetto caratteriale. Si tratta di un sistema valoriale profondamente distorto, dove il lusso si confonde con la licenza, la celebrità con l’impunità, l’estetica con la vanità e la tragedia con l’inquadratura giusta. Alla fine, il lunedì di Elisabetta Franchi è una perfetta metafora dei nostri tempi: una colazione patinata, un povero Cristo investito col macchinone di turno (chissà se l'uomo in bicicletta si è anche permesso di macchiare di sangue la carrozzeria del bolide), un selfie, un post. Il tutto ben confezionato nella più totale inconsapevolezza dell’oscenità del gesto, e condito da un lessico da rotocalco sovrastato da un egocentrismo degno di Narciso davanti allo specchio retrovisore della sua supercar. E dire che, con tutto quel denaro speso in coupé d’alta gamma, un piccolo investimento in un social media manager sobrio e alfabetizzato lo potrebbe anche fare. Ma, si sa, la sobrietà non fa tendenza. Il dramma, sì. Purché abbia i filtri giusti.