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Sempre meno figli, più incertezze, l’Italia che rinvia la genitorialità
Redazione

L’Italia continua a scivolare lungo il crinale della denatalità, e i numeri sulle intenzioni di fecondità raccontano un Paese sempre più prudente, quando non rinunciatario, di fronte alla scelta di avere figli. Nel 2024 solo il 21,2% delle persone tra i 18 e i 49 anni dichiara di voler avere un figlio, certamente o probabilmente, nei tre anni successivi, una quota in netto calo rispetto al 25% del 2003. È il dato che descrive con maggiore chiarezza una trasformazione demografica ormai strutturale, certificata dall’ultima rilevazione sulle famiglie e i soggetti sociali di Istat.
Sempre meno figli, più incertezze, l’Italia che rinvia la genitorialità
Dietro la contrazione delle intenzioni riproduttive non c’è solo l’invecchiamento della popolazione in età feconda, ma un cambiamento profondo dei modelli di vita e delle aspettative. Oltre 10,5 milioni di persone affermano di non voler avere figli o altri figli né nel breve né nel lungo periodo. Per un terzo di loro il motivo principale è economico, seguono le condizioni lavorative ritenute inadeguate e, in misura non marginale, l’assenza di un partner stabile. La scelta di rinviare o rinunciare alla genitorialità appare così sempre meno legata a fattori culturali astratti e sempre più ancorata a vincoli materiali concreti.
La frattura di genere resta evidente. La metà delle donne teme che l’arrivo di un figlio possa peggiorare le proprie opportunità di lavoro, una preoccupazione che supera il 65% tra le più giovani. Gli uomini, al contrario, in larga maggioranza non prevedono effetti diretti sulla propria carriera, ma riconoscono il rischio di penalizzazioni professionali per le partner. È una percezione che continua ad alimentare il divario tra desiderio e realizzazione della genitorialità, soprattutto nelle fasi centrali della vita lavorativa.
Eppure, il desiderio di avere figli non è scomparso. Considerando anche un orizzonte temporale più lungo, il 45,6% delle persone tra i 18 e i 49 anni afferma di voler diventare genitore prima o poi, sebbene la quota fosse superiore al 50% poco più di vent’anni fa. Tra i giovanissimi, quasi nove su dieci immaginano ancora un futuro con figli, ma lo collocano oltre il breve periodo, spesso dopo il completamento degli studi e una maggiore stabilità occupazionale. È la conferma di una genitorialità sempre più posticipata, compressa tra aspettative alte e margini di sicurezza ridotti.
Il confronto tra intenzioni dichiarate e comportamenti effettivi restituisce un quadro ancora più critico. Meno della metà delle donne che nel 2016 dichiaravano di voler avere un figlio è riuscita a realizzare il progetto nei tre anni successivi. A fare la differenza sono età, livello di istruzione e occupazione. Le donne più istruite e inserite nel mercato del lavoro hanno probabilità significativamente più alte di trasformare il desiderio in realtà. Un paradosso solo apparente, che segnala come la sicurezza economica e professionale non sia un ostacolo alla natalità, ma una sua condizione abilitante.
Quando si chiede quali politiche potrebbero davvero invertire la rotta, la risposta è netta. Il sostegno economico diretto alle famiglie è indicato come la misura più importante, seguito dai servizi per l’infanzia e dalle agevolazioni abitative. Le priorità cambiano a seconda dell’età, del territorio e dell’esperienza genitoriale, ma il filo conduttore resta lo stesso, senza un sistema di protezione solido e credibile, la scelta di avere figli continua a essere percepita come un rischio individuale più che come un investimento collettivo.
Un Paese, dunque, sospeso tra desiderio e rinuncia, in cui la denatalità non è solo un fenomeno demografico, ma il riflesso di un equilibrio sociale fragile. Le intenzioni di fecondità, oggi più che mai, si confermano un indicatore sensibile dello stato di fiducia delle famiglie nel futuro.