Sentire John Elkann tessere le lodi della Fiat e di Stellantis, quindi le sue e quelle della famiglia Agnelli, se non facesse sorridere, ridere o sghignazzare a seconda dei soggetti, indurrebbe all'incredulità. Perché, parlando in audizione in Parlamento, Elkann ha ricordato la storia della sua famiglia legandola a quella dello sviluppo dell'industria automobilistica italiana, facendo un ritratto che poco ci mancava si concludesse con un invito alla Chiesa ad avviare un processo di canonizzazione dei componenti della Real Casa abbarbicata sulle colline torinesi.
Elkann chiede di ringraziare la Fiat e Stellantis, senza di noi l'auto in Italia scomparsa da tempo
Nessuna autocritica, nessun ripensamento, ma la difesa a spada tratta di ogni decisione, presa, ha fatto capire, nell'esclusivo interesse del Paese, quasi che gli Agnelli abbiano svolto una missione caritatevole portando benessere e prosperità laddove c'era il deserto economico.
E tutto, è quasi sembrato di capire, facendo volontariato, limitandosi ad una retribuzione quasi simbolica, come l'ultimo dei travet.
Forse la verità non è totalmente opposta, ma avrebbe potuto anche essere colto dal dubbio che si stava imbrodando nel tentativo di lodarsi.
Gli Agnelli hanno fatto tanto, nessuno lo nega, ma da industriali - che per definizione perseguono il profitto -, non da volontari della Caritas. Una famiglia con delle regole (a maglie molto larghe, a dire il vero) che si sono tradotte in immense ricchezze, dovute alla loro capacità imprenditoriale, ma anche grazie ad una benevola attenzione da parte della politica, che i suoi interlocutori sa benissimo come sceglierseli.
John Elkann, che guida attualmente Stellantis dopo che Carlos Tavares, dopo avere messo in fila una serie lunga di figure di palta ha tolto il disturbo, ha raccontato la storia recente di Fiat, sottolineando che, se non fosse stato per Gianni Agnelli, già agli inizi del secolo la sua fine sarebbe stata segnata, allo stesso modo in cui sono spariti dalla circolazione Olivetti e Montedison.
Ora, posto che i campi di azione erano diversi, così come le prospettive di medio e lungo periodo, accostare Olivetti e Montedison ad una Fiat che era egemone è leggermente fuori fuoco. Che Elkann rivendichi che oggi si possa parlare di auto in Italia solo per merito della sua famiglia è bello, dal punto di vista emozionale, ma non tiene nella giusta evidenza la lunga sequenza di errori - di gestione e programmazione - in cui Fiat è incappata e di cui stanno pagando un prezzo altissimo le maestranze. Perché, vorremmo sommessamente dire al capo di Stellantis, che vivere in cassa integrazione, andare in fabbrica e fermarsi davanti a cancelli chiusi, aspettare con terrore che nella buca delle lettere arrivi non la solita pubblicità, ma la comunicazione di un benservito, non è vita.
Al di là della meccanica elencazione di quanto si è fatto e si sta facendo, quasi in attesa di uno scrosciante applauso dei presenti, da Elkann non è arrivata una parola che fosse una di autocritica, magari anche ammettere che qualche errore, piccolo o marginale, è stato fatto.
Nulla. Parlare di un futuro radioso, mentre a Mirafiori gli operai vivono nel terrore di un nuovo fermo suona quasi come negare la realtà.
Ma forse, a impedire che negli ovattati uffici della finanza arrivino le paure degli operai, c'é un marchingegno elettronico, di quelli che fa passare solo le belle notizie e il tintinnio del denaro.