Economia

Le elezioni USA agli occhi di un investitore europeo

Supriya Menon, Head of Multi Asset Strategy per l’EMEA di Wellington Management
 

L’esito delle elezioni di novembre negli Stati Uniti potrebbe avere ripercussioni significative per gli investitori europei e globali. Dopo il dibattito tra i due candidati, la natura di queste ripercussioni non è chiara, viste le incertezze sul risultato di una corsa molto serrata e la possibilità di ulteriori cambiamenti nelle sorti di entrambe le parti. Inoltre, l’effettivo impatto del risultato elettorale potrebbe essere molto diverso a seconda che il voto generi un governo diviso o una vittoria totale, con uno dei due partiti, democratico o repubblicano, in pieno controllo sia della presidenza che dell’organo legislativo. 

Per quanto riguarda gli investitori, le implicazioni principali sono legate al commercio e alla politica estera, nonché ai cambiamenti della politica fiscale e monetaria che potrebbero avere un impatto sull’inflazione, le aspettative sui tassi e il dollaro.

Politica commerciale

Entrambi i candidati irrigidirebbero in qualche modo la politica commerciale, ma le dichiarazioni di Trump indicano che punterebbe ad aumentare i dazi forse anche del 10% per tutti e addirittura del 60% per le importazioni dalla Cina. Le politiche in materia di commercio e difesa diventerebbero con tutta probabilità più imprevedibili. 

Cosa potrebbe significare tutto questo per gli investitori europei? Innanzitutto, credo che avrebbe un effetto sproporzionatamente negativo sulle economie europee, soprattutto su una Germania già in difficoltà, che presenta un surplus commerciale bilaterale con gli USA significativo, ossia circa il 10% delle sue esportazioni.1 La volontà di Trump di imporre nuovi dazi rappresenterebbe un’ulteriore sfida per il modello tedesco basato sul settore industriale, potenzialmente arrivando ad ampliare il divario tra la Germania e i paesi della periferia europea, meno dipendenti dalle esportazioni. Inoltre, potrebbe alimentare un ulteriore divario tra i settori manifatturiero e dei servizi, creando una crescente divergenza all’interno dell'eurozona, con il settore manifatturiero a rappresentare un continuo ostacolo per la crescita in un’economia a due velocità. 

In secondo luogo, mentre i dazi sulle esportazioni avrebbero un impatto anche sui mercati azionari europei, l’effetto diretto del calo delle esportazioni sarebbe più limitato, dal momento che circa un quarto dei ricavi delle società europee è generato negli Stati Uniti ma una percentuale di gran lunga inferiore rappresenta esportazioni dirette di beni, in quanto una parte della produzione avviene negli Stati Uniti e una percentuale di questi ricavi è ascrivibile ai servizi. Complessivamente, il rischio maggiore per i mercati azionari sarebbe l’impatto indiretto di un rallentamento della crescita economica interna dovuto al calo del commercio, anziché una ripercussione specifica sugli utili generati all’estero. 

In terzo luogo, sia Trump che Harris continuerebbero presumibilmente a promuovere i settori domestici fondamentali per la competizione strategica, come la IA, i semiconduttori avanzati e la tecnologia verde, a indicare che le importazioni verso gli USA in questi settori - in aggiunta alle aree caratterizzate da un forte protezionismo, come la catena di approvvigionamento automobilistica e i sussidi per l’energia pulita - continuerebbero a essere vulnerabili.

Implicazioni per gli investitori

Complessivamente, credo che le politiche di entrambi i candidati potrebbero incrementare la frammentazione del commercio globale. L’Europa risponderebbe? Non crediamo che l’Unione Europea imporrebbe vincoli commerciali propri, ma potrebbe rispondere intervenendo con misure volte a danneggiare settori specifici o addirittura imponendo una tassa sui servizi digitali alle aziende statunitensi.

La principale conseguenza economica dei dazi, a mio parere, è la possibilità che gli stessi incrementino l’inflazione nel breve termine - man mano che i prezzi vengono aggiustati - e che pesino sulla domanda e la crescita nel medio termine. Secondo uno studio della Tax Foundation, i dazi proposti da Trump potrebbero ammontare in totale a circa 524 miliardi di USD e ridurre il PIL annuale degli Stati Uniti, nel lungo periodo, dello 0,8%. Tuttavia, se Harris vincesse le elezioni e continuasse a perseguire la politica commerciale di Biden, l’impatto economico sarebbe meno pronunciato. 

Politica fiscale

A prescindere da chi vincerà le elezioni, il deficit fiscale statunitense è destinato ad ampliarsi in modo significativo; il Congressional Budget Office (CBO) degli Stati Uniti prevede un incremento del rapporto debito/PIL dal 99% del giugno 2024 al 122% entro giugno 2034. Questo dato rappresenta solo un livello base, in quanto non incorpora le singole misure specifiche proposte dai candidati. 

Il nostro team macroeconomico stima che, secondo le proposte di Trump, il deficit cumulativo aumenterebbe di circa 2.000-4.000 miliardi di USD nei prossimi dieci anni, rispetto a 1.000-2.000 miliardi in un’amministrazione Harris, ipotizzando che quest’ultima continui a perseguire il piano di Biden con alcune modifiche. 

Altre politiche di incremento del deficit giungerebbero in un contesto fiscale radicalmente diverso rispetto a quelle varate da Trump nel 2016. I dati del CBO indicano che, da allora, il rapporto debito/PIL è aumentato del 25% circa, sia con Trump che con Biden. Di recente, i deficit fiscali degli Stati Uniti si sono ampliati nei periodi di crescita superiore ai livelli tendenziali, ossia quando la politica fiscale è stata pro-ciclica ed esiste il rischio che questa tendenza prosegua.

Tuttavia, vale la pena notare che sarà l’esito elettorale relativo al Congresso ad essere particolarmente importante per la politica fiscale. I presidenti tendono ad avere una certa libertà decisionale in termini di dazi e immigrazione senza necessitare dell’approvazione del Congresso, pertanto la politica fiscale è l’aspetto più importante che dipende dall’esito elettorale in parlamento. Un Congresso “diviso” può influenzare in modo significativo la maggior parte delle proposte politiche, ma può essere rischioso anche in un periodo in cui alcuni dei tagli fiscali previsti dal Tax Cuts and Jobs Act scadono automaticamente; in altre parole, non rinnovarli causerebbe fiscali per i singoli individui e il cosiddetto drenaggio fiscale. Storicamente, il mercato obbligazionario ha “prediletto” un Congresso diviso; questo significherebbe che le pressioni inflazionistiche e sui tassi dovute ad alcune delle misure fiscali proposte più estreme sarebbero meno intense. 

Implicazioni per gli investitori

Un’ulteriore espansione fiscale potrebbe alimentare nuovi timori circa la sostenibilità del debito tra gli investitori europei e internazionali, ma prevedo che l’impatto più tangibile deriverebbe dalla politica monetaria, che a sua volta influenzerebbe la politica monetaria europea e globale. 

Politica monetaria

In un’amministrazione Harris, prevederei uno status quo in termini di misure della Federal Reserve e di politica monetaria. Una seconda amministrazione Trump sarebbe invece più imprevedibile per quanto riguarda la politica monetaria, con possibilità di una tendenza al rialzo dei tassi. 

Trump ha anche suggerito alcune revisioni sulle capacità politiche e di definizione dei tassi della Fed, ma queste proposte sarebbero tutt’altro che facilmente accettate e varate. In ogni caso, qualsiasi tentativo di minare l’indipendenza della Fed, ancorché di improbabile implementazione, sarebbe dannoso.

Implicazioni per gli investitori

Una politica fiscale più espansiva porterebbe a un maggiore equilibrio fra tassi reali e inflazione di pareggio, il che si tradurrebbe in rendimenti più elevati sul Treasury decennale. La curva dei rendimenti subirebbe con tutta probabilità un irripidimento. Il dollaro USA normalmente subirebbe un’oscillazione in uno slancio di crescita relativa e differenziali dei tassi in favore degli USA. L’impatto per gli investitori europei potrebbe essere duplice: innanzitutto, potrebbe limitare lo spazio di manovra delle banche centrali europee in termini di eccessiva divergenza rispetto agli USA e, in secondo luogo, potrebbe essere una nuova fonte di attrito, dal momento che un ulteriore rafforzamento del dollaro potrebbe supportare le esportazioni europee verso gli USA (parzialmente compensate dai possibili dazi) e al contempo alimentare l’investimento dei risparmi europei verso i mercati dei capitali statunitensi.

Cos’altro stiamo monitorando?

Altre aree possono avere ripercussioni sui mercati azionari USA. L’immigrazione è un’evidente fonte di divergenza; la forte riduzione dell’immigrazione netta, addirittura a livelli negativi, potrebbe spingere i salari al rialzo in un mercato del lavoro rigido, determinando un’inflazione causata dall’offerta. Questo scenario sarebbe più probabile in un’amministrazione Trump. Dall’altro lato, secondo i nostri analisti, una presidenza Trump porterebbe a un allentamento della regolamentazione nei settori della sanità, dell’energia e delle fusioni & acquisizioni, il che è positivo per queste aree specifiche e per i mercati azionari più in generale, quanto meno nel breve termine. La crescente divergenza in termini normativi e di costi dell’energia sarebbe inoltre un vantaggio per le aziende statunitensi rispetto a quelle europee (in aggiunta ai tagli dell’imposta sulle società) e determinerebbe una sovraperformance degli Stati Uniti, nonché un’estensione di queste performance anche ai “fanalini di coda” come i titoli small cap. 

Conclusione

Il nostro team ritiene che queste elezioni saranno fondamentali ma anche che siano molto imprevedibili, con un’ampia gamma di possibili risultati che rendono estremamente difficile posizionare adeguatamente i portafogli. Ci focalizziamo quindi sul quadro economico più ampio per i prossimi 12 mesi, che riteniamo positivo. Ci attendiamo una certa volatilità sullo sfondo del graduale adattamento del mercato ai cambiamenti dello scenario elettorale e delle prospettive di crescita e per i tassi, ma restiamo positivi sul contesto macroeconomico e i fondamentali degli utili. Crediamo anche che il calo dell’inflazione garantirà un certo spazio alle banche centrali. Il mercato dei tassi sarà presumibilmente più sensibile ai cambiamenti delle previsioni elettorali, soprattutto se le probabilità di una generale vittoria repubblicana dovessero aumentare. Dal punto di vista degli investitori europei, stiamo monitorando da vicino gli sviluppi sulle misure commerciali e la politica estera, nonché le implicazioni delle politiche fiscali e altre politiche interne per i tassi e la valuta degli Stati Uniti.

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