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L’odore dell’illegalità (e del cumino)

Barbara Leone
 
L’odore dell’illegalità (e del cumino)

Nel cuore della provincia napoletana, tra il profumo della genovese e l’aroma persistente della frittura domenicale, prende forma una delle più insolite crociate amministrative del nostro tempo: quella contro gli “odori molesti”. A guidarla, con zelo normativo e naso vigile, il sindaco di Palma Campania, Nello Donnarumma, firmatario dell’ordinanza n. 105 che vieta – con sanzioni fino a 500 euro – ogni effluvio considerato inopportuno per la quiete olfattiva del comune.

L’odore dell’illegalità (e del cumino)

Quindi: è vietato puzzare. O, con più nobiltà lessicale, si proibiscono le “molestie olfattive” su tutto il territorio comunale. Il provvedimento – che prevede sanzioni pecuniarie fino a 500 euro – non fa distinzione tra un odore e l’altro: curry o cavolfiore, spezie o stoccafisso, sudore di brace o miasmi di fogne. Tutto, potenzialmente, è molesto. E tutto, sorprendentemente, è ora sottoposto al giudizio insindacabile del naso istituzionale. Il primo cittadino ha annunciato l'ordinanza (a mezzo social, e come ti sbagli) con toni da eco-apostolo: “Si tratta di un provvedimento necessario e urgente adottato a seguito delle numerose segnalazioni pervenute e volto a tutelare salute pubblica e vivibilità urbana, prima che il fenomeno diventi una vera e propria emergenza. Perché siamo convinti che una città che rinuncia a difendere la qualità dell'aria rinuncia a difendere la dignità dei suoi cittadini”.

Una dichiarazione che avrebbe fatto inorgoglire Rousseau e Lacan insieme, se solo fossero riusciti a trattenere un colpo di tosse davanti a un piatto di pasta alla genovese (per chi lo ignorasse, gloriosa istituzione napoletana a dispetto del nome, e intrisa di un'abbondanza di cipolle stufate la cui fragranza, pur venerata dai palati, non difetta certo d’intensità e persistenza agli altrui nasi più sensibili).

Ma la domanda, per quanto fastidiosamente razionale, sorge spontanea: quale nobile strumento sarà deputato a misurare l’olezzo? Un olfattometro municipale, come già ventilato (riportiamo testualmente) dall’assessore all’immigrazione Giuseppe Ferrante? “Non escludiamo di dotare la polizia municipale di misuratori olfattometrici, ma in ogni caso molte sentenze della Cassazione hanno decretato che i pubblici ufficiali possono agire anche in casi di evidenza oggettiva, senza ricorrere necessariamente a strumenti”. Tradotto: basta che la puzza “si senta”. Cioè che un vigile, in tenuta anti-miasma, annusi qualcosa di sgradito e decida, con solenne fiuto, che è ora di multare. Scacco matto, eau de curry. Perché, senza dirlo troppo apertamente, la comunità bengalese è divenuta il bersaglio preferenziale del nuovo ordine deodorante.

A Palma Campania vivono infatti circa duemila cittadini originari del Bangladesh, molti dei quali gestiscono attività di ristorazione. Colpevoli – si vocifera – di un uso smodato di spezie. Già, perché nella gerarchia olfattiva nazionale, il rosmarino è patriottico, il cardamomo è eversivo. C’è però un piccolo problema: la legge non stabilisce alcuna soglia olfattiva scientifica, né vieta l’uso del cumino in sé. L’unico criterio resta la “molestia percepita”, concetto filosofico di rara elasticità, applicabile con lo stesso vigore tanto a un piatto di dhal quanto alla fragranza di certi ascensori alle 7 del mattino. E mentre il comune brandisce il naso contro il garam masala, i cittadini lamentano ben altri olezzi.

Quelli autentici, quelli che non si combattono con il bicarbonato. C’è chi denuncia “la vasca in via Circonvallazione”, chi parla di “bruciato di pizza in via Vecchia Sarno”, chi evoca “la puzza che esce dall'acquedotto” o “le buste chiuse della spazzatura da cui si sentono versi di animali”. La lista è lunga, ed è tutto tranne che esotica. In questo scenario, l’ordinanza 105 rischia di diventare il più surreale manifesto di politica olfattiva mai scritto, una satira involontaria sulla gestione ambientale, dove le emissioni industriali passano in secondo piano rispetto al coriandolo. “Non vorremmo sconvolgerla, ma la qualità dell'aria non dipende dagli odori e dai profumi della cucina etnica, ma magari dai livelli di inquinamento di PM10 e dalla presenza di polveri sottili che causano tumori. Così, giusto per informarla…”, scrive stizzito al sindaco un cittadino palmese.

Siamo dunque a un passo dalla distopia aromatica: l’anarchia delle spezie viene normata dal naso pubblico, in un curioso cortocircuito tra amministrazione e olfatto. Se l’olfatto è soggettivo, chi decide ciò che puzza davvero? La frittura del venerdì santo? Il soffritto pasquale? Il cenone natalizio con le dodici portate di aromi nostrani? Si può condannare la cannella e non il pecorino? E la colpa della verza? Chi giudicherà, nella solenne aula del Comune, la liceità del cavolfiore? L’aria si riempie di interrogativi, più che di odori. Ma se questo è il nuovo fronte del decoro urbano, preparate i nasi: la guerra è appena cominciata.

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