Il primario che aveva trasformato il suo reparto in un territorio di caccia per le sue scorribande sessuali, senza che mai nessuno dei colleghi, che qualcosa la dovevano avere pure capito o sospettato, dicesse nulla: il proteiforme predatore sessuale, che, a seconda dei casi, si presentava come allenatore, come fotografo, come press agente, colpendo le più giovani. Tenere aggiornato l'elenco delle nefandezze alle quali questa povera (moralmente) Italia è costretta ad assistere sta diventando un'impresa perché, a cadenza quasi quotidiana, le cronache giornalistiche e giudiziarie ci raccontano un Paese che sembra avere perso il contatto con la realtà, in cui gli abusi sessuali sono diventati una tragica costante.
Le molte facce del mostro: medico, allenatore, superiore
Non è un fenomeno solo italiano, guai pensarlo, perché appena qualche ora fa una ricerca di Lancet dice che ormai il numero dei minori sottoposti a violenze sessuali ha assunto una ampiezza devastante, con alcune specifiche aree geografiche che soffrono di più di questa piaga. Ma, pensando al nostro patrimonio culturale e alle conquiste sociali degli ultimi decenni, si sarebbe spinti a sperare che certe cose dovrebbero essere marginali, rara avis in un mondo in cui tutti sanno tutto e di tutti.
Poi però scopri che un rispettato (ma da chi?) primario ospedaliero, ribaltando la storiella della gazzella che si sveglia e comincia a scappare per non essere preda di un leone, ogni qualvolta entrava nel reparto si dava una limatina alle unghie e cominciava a cacciare rivolgendo le sue attenzioni a colleghe, a infermiere e a chissà chi altro, forse pensando che il ''prof.'' davanti al suo nome, Emanuele Michieletti, fosse per lui come il doppio zero di James Bond.
Ma, anziché la licenza di uccidere, l'uomo - sessant'anni, portati anche bene - pensava di godere dell'impunità, giocando a farsi Dio. Quando una vittima ha deciso di vincere le proprie paure (non solo fisiche, ma anche per il suo futuro lavorativo, avendo evidentemente Michieletti un potere anche in questo campo) e denunciare cosa che stava accadendo, la prima reazione del magistrato e degli investigatori che hanno raccolto la disperata richiesta di aiuto avrebbe potuto essere quella di andare in reparto e ammanettare il medico.
Ma, per essere sicuri che la denuncia fosse fondata e, come sospettavano, le vittime potessero essere di più, hanno disseminato gli ambienti di lavoro del primario di tutti gli accorgimenti tecnologici per intercettarne ogni singolo gesto, ogni parola, ogni vomitevole richiesta o imposizione. In 45 giorni sono stati accertati 32 episodi di violenza sessuale, quasi un ''Manuale di sopravvivenza per pervertiti violenti'', da quel che si è capito, con donne costrette a subire in silenzio e c'è quasi da pensare che quei rapporti che potrebbero apparire consensuali siano solo la conseguenza della paura, del potere dell'Uomo nero in camice.