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Il Consiglio d'Europa contro le polizie italiane: "Sono razziste". Un giudizio affrettato e preconcetto?
Redazione
Ci risiamo: ogni qualvolta si legge ''Consiglio d'Europa'' si cade nell'errore di pensare che sia un'assemblea di eletti. Non è così, perché si tratta di un organismo che tutela democrazia e diritti umani, ma che nulla a che fare con l'Ue. Eppure, quando dal Consiglio d'Europa arrivano fendenti nei confronti di questo o quello Stato, si pensa subito che a puntare il dito sia Bruxelles o Strasburgo. Quindi leggere che l'Ecri, la commissione anti-razzismo del Consiglio d'Europa, accusa le forze di polizia italiane di comportamento razzista deve essere preso come una analisi fatta da un organismo che non è ''politico'' in senso elettivo, ma che prende posizione su faccende che riguardano i comportamenti dei singoli Stati che fanno parte del Consiglio.
Ma cos'è che ha indotto questo organismo a dare questo giudizio (in un più ampio monitoraggio della situazione italiana) tanto duro contro le nostre forze dell'ordine?
Essenzialmente il cosiddetto ''racial profiling'', ovverosia il fatto che, nell'esercizio del compiti di istituto, polizia e carabinieri sottoporrebbero a controlli persone non per i loro comportamenti, ma per il colore della loro pelle o per la loro etnia.
Il Consiglio d'Europa contro le polizie italiane: "Sono razziste". Un giudizio affrettato e preconcetto?
Nel rapporto si legge che la delegazione dell'Ecri che si è occupata di questo problema ha saputo, nel corso di una visita in Italia, di ''molte testimonianze sulla profilazione razziale da parte delle forze dell'ordine, in particolare verso la comunità Rom e le persone di origine africana''. Un atteggiamento preconcetto che si tradurrebbe in ''frequenti fermi e controlli basati sull'origine etnica'' e che, dice l'Ecri, è stato rilevato anche da organizzazioni della società civile e altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati. Affermazioni, per così dire, apodittiche, senza che a loro conforto siano riportati episodi reiterati e, quindi, considerabili come conferma di uno schema comportamentale.
Ma il rapporto non si ferma a questo, accusando sostanzialmente le autorità (ovvero chi ci governa) di non raccogliere ''dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia'', né d'essere ''consapevoli dell'entità del problema'', andando oltre affermando che ''non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale''.
Quindi, in uno stesso rapporto, la commissione del Consiglio d'Europa accusa le forze di polizia italiane di vessare , sottoponendoli a controllo, essenzialmente neri e rom, ma anche che questo atteggiamento preconcetto di fatto gode della mancata attenzione delle istituzioni, che quindi si macchiano, per la transitiva, di razzismo.
Oggettivamente, sembra tutto esagerato, tutto fuori quadro, cadendo in uno stereotipo in cui chi indossa la divisa si nutre di razzismo, alimentandosi del senso di potere che deriva dal potere esibire un distintivo.
Vorremmo solo sapere se questa accuratezza che l'Ecri ha messo parlando dell'Italia sia stata usata anche per altri, per accertare se, magari, quando vanno in pattuglia nelle banlieue della sterminata periferia di Francia, gli agenti controllano servendosi della loro esperienza quotidiana, che dà certezze anche sul profilo di chi delinque.
Il problema sollevato dal Consiglio d'Europa non è italiano, non è solo italiano perché purtroppo la reiterazione di alcuni comportamenti illegali ha una incidenza percentualmente elevata in alcune componenti della società dei Paesi cosiddetti occidentali.
Certo, la cronaca registra episodi in cui il ''dagli al nero'' è evidente, soprattutto in quelle zone franche della criminalità comune in cui lo Stato sembra non riuscire a mostrare la sua presenza. I casermoni abbandonati e occupat da centinaia di disperati sono ''zone franche'' così come i parchi in cui i pusher stazionano per 24 ore al giorno, alimentando il supermarket della droga. E quando li si libera o li si bonifica, tempo poche ore tutto torna come prima.
Ma per l'organismo del Consiglio d'Europa queste non sono esimenti, ma, al contrario, rafforzano il giudizio negativo sull'operato delle nostre forze di polizia che sembra basarsi su stereotipi che sanno tanto di politicizzazione.
''La profilazione razziale" - si legge nel rapporto - "ha effetti notevolmente negativi, in quanto genera un senso di umiliazione ed ingiustizia per i gruppi coinvolti provocando stigmatizzazione e alienazione. È inoltre dannosa per la sicurezza generale in quanto diminuisce la fiducia nella polizia e contribuisce a non denunciare reati. L'ECRI ritiene pertanto che le autorità debbano sottoporre le pratiche di fermo e di controllo/perquisizione della polizia ad un esame indipendente. Tale esame dovrebbe essere condotto con la partecipazione attiva delle organizzazioni della società civile pertinenti e dei rappresentanti dei gruppi potenzialmente esposti alle pratiche di profilazione razziale. Tali esami dovrebbero essere utilizzati per sensibilizzare i funzionari delle forze dell'ordine sulle pratiche che possano potenzialmente condurre alla profilazione razziale con effetti nocivi sulla fiducia dei cittadini nella polizia nonché per identificare modelli indicativi di razzismo istituzionale all'interno delle forze dell'ordine, in particolare nei confronti dei Rom e delle persone di colore / di origine africana''.
Insomma, per l'Ecri è prioritario mettere sotto tutela le forze di polizia che, almeno dalle nostre parti, agiscono con l'obiettivo di tutelare la comunità. Certo, ci sono stati e magari, purtroppo, ci saranno episodi con comportamenti esecrabili, ma sono marginali e non possono certo essere presi come fossero una costante.
La risposta del governo non si è fatta attendere ed è venuta dalla stessa Giorgia Meloni. ''Le nostre Forze dell'Ordine" - ha scritto il presidente del Consiglio - "sono composte da uomini e donne che, ogni giorno, lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni. Meritano rispetto, non simili ingiurie''.