In apertura dei principali media internazionali ci sono i colloqui di pace di Ginevra sull’Ucraina, che nel fine settimana hanno prodotto, secondo quanto riferito da Reuters, un “quadro di pace perfezionato” elaborato da Stati Uniti e Ucraina al termine di una serie di incontri volti a porre fine alla guerra con la Russia. Come riporta la BBC, le delegazioni hanno discusso un piano in 28 punti e, in una dichiarazione congiunta, hanno definito i negoziati “altamente produttivi”, rivendicando “progressi significativi verso l’allineamento delle posizioni e l’identificazione di chiari passi successivi”.
Colloqui di pace sull'Ucraina: accordo “perfezionato” a Ginevra
Nessuna indicazione, tuttavia, sui contenuti concreti dell’intesa. Quel piano in 28 punti, ricorda sempre la BBC, era stato duramente criticato dai leader europei quando era trapelato la settimana precedente, accusato di essere troppo sbilanciato a favore della Russia. Un rapporto diffuso dalla Casa Bianca al termine degli incontri ha precisato che, alla luce delle revisioni introdotte a Ginevra, gli ucraini “credono che l’attuale bozza rifletta i loro interessi nazionali”.
La corrispondente della BBC, Sarah Rainsford, sottolinea come Kiev stia investendo nel processo diplomatico anche per non correre il rischio di perdere il sostegno americano. Nel frattempo, ricorda ancora la BBC, il conflitto non si ferma: almeno quattro persone sono state uccise domenica in un attacco di droni russi su Kharkiv. A commentare i negoziati è intervenuto anche Alex Younger, ex capo dell’MI6 (2014-2020), che alla BBC ha definito i colloqui “un buon approccio”, pur ricordando che le prime proposte discusse erano di fatto spunti avanzati da Mosca. Younger ha denunciato come le richieste iniziali - riduzione drastica delle forze armate ucraine e rinuncia a entrare nella NATO - avrebbero reso Kiev “un capro espiatorio”, lasciando il Paese in una condizione di vulnerabilità che la Russia avrebbe inevitabilmente sfruttato. “Se l’Ucraina avesse accettato immediatamente, la guerra ricomincerebbe”, ha avvertito. L’idea di limitare l’esercito ucraino fino a renderlo incapace di difendersi è stata per lui “assolutamente inaccettabile”.
Dalla CNN arriva invece il racconto del clima nelle stanze dei negoziati: il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha mantenuto un tono sorprendentemente ottimista, parlando in conferenza stampa a tarda notte di “enormi progressi” e assicurando alla rete che anche il presidente Donald Trump era “abbastanza soddisfatto dei resoconti”. Solo poche ore prima, però, Trump aveva rimproverato pubblicamente la leadership ucraina per quella che riteneva una riconoscenza insufficiente. La CNN segnala anche che Rubio si è presentato da solo ai giornalisti, senza il capo delegazione ucraino Andriy Yermak, rifiutandosi di fornire dettagli e parlando di “processo in corso” in cui “gli elementi rimasti non sono insormontabili”.
Tuttavia, sottolinea l’emittente, resta difficile credere che possano essere superati facilmente i compromessi profondi richiesti all’Ucraina in una versione delle proposte statunitensi considerata assai favorevole alla Russia. Tra essi, nota la CNN, la cessione di territori chiave nel Donbass - annessi da Mosca ma non del tutto controllati - che per Kiev rappresentano una linea rossa invalicabile. Si tratta della cosiddetta “cintura di fortezza”, un’area strategica per la sicurezza nazionale. Secondo i documenti visionati dalla rete, gli USA proporrebbero di trasformare la zona in un’area demilitarizzata russa, nella quale le forze del Cremlino si impegnerebbero a non entrare.
Ugualmente complessa, per Kiev, la richiesta di limitare le proprie forze armate a 600.000 uomini: un tetto che molti funzionari europei ritengono insufficiente per prevenire futuri attacchi. La CNN aggiunge che Washington, determinata a forzare un accordo, avrebbe chiarito di aspettarsi che Kiev si conformi, minacciando il ritiro del sostegno militare americano e affermando, nelle parole di Trump, che il presidente Zelensky potrà “combattere con tutte le sue forze”. Sul fronte politico statunitense, ABC News riporta le parole del repubblicano Michael McCaul, che ha sconsigliato a Kiev di firmare la proposta di pace se non accompagnata da garanzie di sicurezza “ferree”. “Non possono firmare un accordo come quello di Budapest e poi permettere alla Russia di invadere di nuovo”, ha dichiarato nel programma “This Week”.
Intanto, in Medio Oriente la tensione torna a crescere.
Come riferiscono AP News e numerose altre testate internazionali, Israele ha colpito ieri la capitale libanese per la prima volta da giugno, sostenendo di aver ucciso il capo di stato maggiore di Hezbollah, Haytham Tabtabai, e lanciando un avvertimento al gruppo sciita sostenuto dall’Iran affinché non si riarmi a un anno dalla loro ultima guerra. Il Ministero della Salute libanese parla di cinque morti e 25 feriti nell’attacco alla periferia sud di Beirut. Hezbollah ha confermato la morte di Tabtabai e ha avvertito che il raid rischia di aprire una nuova escalation, a pochi giorni dalla prevista visita di Papa Leone XIV in Libano. Il Ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato che Tel Aviv “continuerà ad agire con forza per prevenire qualsiasi minaccia ai residenti del nord e allo Stato di Israele”. L’esercito ha invitato la popolazione delle aree settentrionali a continuare la vita quotidiana normalmente, segnale che non si attende un’immediata risposta militare da parte di Hezbollah.
Netanyahu ha accusato Tabtabai di aver guidato gli sforzi di riarmo del gruppo. Gli attacchi israeliani nel sud del Libano, nota AP News, sono aumentati nelle ultime settimane, mentre Israele e Stati Uniti esercitano pressioni sul governo libanese perché disarmi Hezbollah. Beirut respinge tali affermazioni e sostiene di aver già dispiegato truppe nella zona, pur riconoscendo la necessità di maggiori risorse. Tabtabai, successore designato di Ibrahim Aqil (ucciso nel 2024 in un attacco che aveva decapitato la leadership di Hezbollah, compreso Hassan Nasrallah), era considerato un comandante di primo piano: secondo gli Stati Uniti, che nel 2016 lo avevano inserito nella lista dei terroristi più ricercati, aveva guidato unità d’élite del gruppo in Siria e Yemen. Il vicecapo del consiglio politico di Hezbollah, Mahmoud Qamati, ha avvertito che l’attacco “apre la porta a un’escalation di attacchi in tutto il Libano”.
Il presidente libanese Joseph Aoun ha condannato il raid e accusato Israele di sottrarsi agli impegni del cessate il fuoco, invocando l’intervento urgente della comunità internazionale. Solo pochi giorni prima, Aoun aveva dichiarato che il Libano è pronto ad avviare negoziati con Israele per fermare gli attacchi aerei e per ottenere il ritiro dalle cinque cime collinari occupate in territorio libanese, impegnandosi contestualmente al disarmo di tutti gli attori non statali, incluso Hezbollah. Il gruppo ha replicato che ogni dialogo sul proprio arsenale potrà avvenire solo quando Israele avrà cessato le ostilità.
Sul fronte climatico, il bilancio dell’ultima Cop30 lascia un senso amaro. Come scrive il Guardian, il responsabile ONU per il clima ha dichiarato a Belém che il mondo “non sta vincendo la lotta alla crisi climatica”, pur restando pienamente impegnato nella battaglia. La conferenza non è riuscita a decretare la fine dei combustibili fossili - obiettivo ostacolato da alcuni Paesi guidati dall’Arabia Saudita - né a mantenere la promessa, proclamata proprio in Amazzonia, di fermare la deforestazione. Eppure, sottolinea il quotidiano, in un clima globale segnato da conflitti, nazionalismi e sfiducia, il negoziato non è naufragato, e il multilateralismo ha retto. “Negazione, divisione e geopolitica hanno inferto duri colpi alla cooperazione internazionale”, ha dichiarato Simon Stiell nella sessione plenaria finale.
Eppure, ha aggiunto, la Cop30 ha dimostrato che “la cooperazione sul clima è viva e vegeta”, lanciando una frecciata agli Stati Uniti, assenti da Belém per decisione del presidente Trump, che ha più volte definito la crisi climatica una “bufala” e una “truffa”. Stiell ha evidenziato il passaggio dell’accordo secondo cui “la transizione globale verso basse emissioni è irreversibile”, definendolo “un segnale politico e di mercato che non può essere ignorato”. Infine, la politica spagnola è stata scossa dalle dimissioni del Procuratore Generale Álvaro García Ortiz. El País riferisce che il magistrato ha inviato una lettera al Ministro della Giustizia Félix Bolaños in cui chiede la rimozione da parte del Consiglio dei Ministri, definendo la scelta “un atto dovuto non solo alla Procura, ma a tutti i cittadini spagnoli”.
La decisione arriva a pochi giorni dalla sentenza della Corte Suprema, che lo ha condannato a due anni di interdizione dai pubblici uffici per rivelazione di segreti, oltre a una multa di 7.200 euro e a un risarcimento da 10.000 euro all’imprenditore Alberto González Amador, socio di Isabel Díaz Ayuso e processato per frode fiscale. Nella lettera, consultata da El País, García Ortiz parla del suo “profondo rispetto” per la magistratura e della volontà di proteggere la Procura, rivendicando di aver servito l’istituzione con “impegno inequivocabile al servizio pubblico”. Le dimissioni diventeranno effettive solo dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri, attesa per martedì, e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il procuratore avrebbe potuto attendere la sentenza motivata della Corte Suprema, poiché la condanna diventa esecutiva solo da quel momento; ha però scelto di anticipare i tempi, esercitando la facoltà prevista dallo Statuto Organico della Procura.