Pechino ha annunciato l’introduzione di un sussidio nazionale per i bambini sotto i tre anni. Il provvedimento, che entrerà in vigore retroattivamente dal 1° gennaio 2025, prevede un rimborso fiscale di 3.600 yuan all’anno (circa 460 euro) per ogni figlio nato da quella data in poi. Si tratta della prima misura di sostegno economico alla natalità introdotta su scala nazionale dalla Repubblica Popolare Cinese, nel tentativo di contenere il rapido declino demografico in corso.
Cina, svolta demografica: introdotto sussidio nazionale alla natalità. Ma i giovani restano scettici
La decisione segna un cambiamento significativo rispetto alla storica politica del figlio unico, in vigore per oltre trent’anni e formalmente abolita nel 2016. Una svolta simbolica che arriva in un momento di crescente preoccupazione per l’invecchiamento della popolazione e la diminuzione della forza lavoro. Secondo le autorità, il programma dovrebbe beneficiare circa 20 milioni di famiglie nel 2025 e prevede uno stanziamento complessivo di 90 miliardi di yuan (circa 12,5 miliardi di dollari). “Non si tratta più solo di un esperimento locale. È un segnale che il governo considera la crisi delle nascite urgente e nazionale”, ha dichiarato alla CNN Emma Zang, demografa e docente di sociologia alla Yale University.
Oltre al sussidio nazionale, varie amministrazioni locali hanno già attivato misure aggiuntive, tra cui esenzioni fiscali, asili a prezzo agevolato e bonus una tantum alla nascita. Tuttavia, secondo numerosi analisti, l’efficacia di tali strumenti risulta limitata nel contesto attuale. Il bonus, sebbene accolto positivamente da parte dell’opinione pubblica, viene considerato insufficiente a influire in modo sostanziale sulle scelte riproduttive delle famiglie, soprattutto nei centri urbani.
Secondo un rapporto dello YuWa Population Research Institute di Pechino, il costo medio per crescere un figlio in Cina fino ai 18 anni supera i 538.000 yuan (oltre 75.000 dollari), cifra che nei contesti metropolitani come Shanghai può arrivare a superare il milione di yuan. A ciò si aggiungono fattori strutturali: l’alto costo della vita, l’instabilità del mercato del lavoro, il prezzo degli immobili e l’assenza di un sistema di welfare familiare solido. Secondo Zang, “molti giovani adulti sono scettici sul futuro. Un sussidio in denaro non risolve la stanchezza emotiva e l’incertezza sociale che caratterizzano la loro vita”.
Le testimonianze raccolte dalla CNN confermano questa tendenza. Zane Li, 25 anni, ha dichiarato di non voler avere figli: “Il costo di crescere un figlio è enorme, e 3.600 yuan all’anno sono solo una goccia nel mare”. La sua famiglia, residente in una cittadina della Cina orientale, fu sanzionata di 100.000 yuan per la nascita del secondo figlio, quando era ancora in vigore la politica del figlio unico. Oggi, Li studia a Pechino e afferma di essere preoccupato per le proprie prospettive occupazionali.
Oltre alle difficoltà economiche, il calo delle nascite in Cina è attribuito a trasformazioni culturali profonde. L’aumento del livello di istruzione, l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e la crescente urbanizzazione hanno contribuito a ridefinire le priorità delle giovani generazioni. Molte donne, oggi, scelgono di rimandare o evitare la maternità, citando motivazioni legate alla carriera, alla qualità della vita e alla mancanza di un adeguato supporto familiare e sociale. “Le giovani donne di oggi sono altamente istruite, orientate alla carriera e desiderano maggiore uguaglianza. Se le politiche non supportano questa realtà con strumenti concreti, i tassi di fertilità non aumenteranno”, ha dichiarato Zang alla CNN, sottolineando che le disparità di genere nell’ambito familiare sono un altro elemento critico.
Il calo delle nascite in Cina non è, infatti, solo una questione economica, ma riflette profondi cambiamenti culturali. L'emancipazione femminile, l'urbanizzazione e l'aumento dell'istruzione hanno ridefinito le priorità: sempre più donne si concentrano sulla carriera, posticipando la maternità.
A ciò si aggiungono l'aumento dei divorzi e l'alto costo della vita, che rendono la genitorialità una scelta sempre più difficile. Gli esperti sostengono che le politiche di incentivo economico finora adottate non sono state efficaci. Le prime misure, come la fine della politica del figlio unico, non sono state supportate da un welfare solido. L'alto costo delle case e la mancanza di servizi per l'infanzia accessibili sono ostacoli maggiori rispetto a bonus esigui come quello di 3.600 yuan. Per invertire la tendenza, servono riforme strutturali che superino i semplici incentivi.
Politiche abitative, asili nido a prezzi accessibili e orari di lavoro flessibili sono considerati fondamentali. Alcune città hanno iniziato a sperimentare in questa direzione, ma il rischio è che la Cina segua il percorso di altri Paesi dove decenni di politiche pro-nascita non sono riuscite a fermare il declino demografico. In Giappone, per esempio, nonostante bonus, congedi e sostegni per l'infanzia, il tasso di fertilità rimane uno dei più bassi al mondo. Anche la Corea del Sud, pur avendo investito miliardi di dollari in sussidi, non è riuscita a invertire il trend, con un tasso di fertilità sceso a 0,72 figli per donna nel 2023.
Gli analisti sottolineano come, in entrambi i casi, gli ostacoli strutturali e culturali come il costo elevato delle abitazioni, il carico di responsabilità che ricade sulle madri e la precarietà lavorativa abbiano avuto un peso decisamente maggiore rispetto agli incentivi monetari. Una lezione che la Cina sta iniziando a comprendere, ma che richiede un cambiamento di paradigma molto più profondo e coraggioso.