FOTO: Luis Garcia - CC BY-SA 3.0 ES
Il British Council, storico baluardo della diffusione della lingua inglese e del soft power britannico nel mondo, si trova ora in una situazione critica, vicina alla bancarotta. Come riportato dal Corriere.it, il direttore generale Scott McDonald ha dichiarato durante un’audizione in Parlamento che «stiamo vendendo tutto quello che abbiamo da vendere, non abbiamo altro», pur riconoscendo che l’istituto rimane «in un reale pericolo finanziario».
Il British Council sull’orlo del tracollo
A pesare sui conti dell’istituto culturale britannico è stata la contrazione della domanda di corsi ed esami di lingua, in parte legata alla pandemia, unita a un prestito da circa 200 milioni di sterline contratto durante il periodo di crisi per mantenere le operazioni in vita. Di fronte a questa emergenza finanziaria, il British Council ha deciso di chiudere le attività in 35 Paesi su circa cento in cui è presente, vendere immobili per circa 90 milioni di sterline e procedere a licenziamenti inevitabili. Tra le ipotesi più drastiche c’è anche quella di cedere la propria collezione d’arte, composta da novemila pezzi valutati intorno ai 200 milioni di sterline.
Fondato nel 1934 come braccio culturale del Foreign Office, il British Council ha nel tempo raggiunto circa 650 milioni di persone nel mondo, rafforzando la capacità del Regno Unito di esercitare influenza attraverso la cultura, l’arte e la lingua. Questo tipo di «soft power» è spesso percepito come sgradito dai regimi autoritari: non a caso la Russia ha bandito l’istituto dal proprio territorio. Il precedente ministro degli Esteri, il laburista David Lammy, era un convinto sostenitore del potere morbido, tanto da creare un «Consiglio del Soft Power» all’interno del Foreign Office, ma resta da vedere se l’attuale titolare, Yvette Cooper, entrata in carica da meno di due mesi e nota per il suo rigore, proseguirà sulla stessa linea.
Dal ministero assicurano che faranno «di tutto per garantire la sopravvivenza dell’istituto», consapevoli che la sua eventuale chiusura sarebbe come «ammainare la bandiera britannica nel mondo», sottolinea ancora il Corriere.it. In questo scenario, la storia di generazioni di studenti che hanno mosso i primi passi tra le aule del British Council rischia di trasformarsi in un capitolo drammatico per la diplomazia culturale britannica, a testimonianza di quanto fragile possa essere anche un’istituzione simbolo della presenza globale del Regno Unito.