C'è, a Washington, una strana concezione del concetto di non ingerenza nelle vicende di altri Paesi. Lo dimostra la reazione scomposta dell'Amministrazione Trump dopo che la Corte suprema del Brasile ha condannato ad una lunga pena detentiva l'ex presidente (nonché amico personale di Trump) Jair Bolsonaro, accusato di avere tentato un colpo di Stato dopo la sua mancata rielezione.
Dopo la condanna di Bolsonaro, gli Stati Uniti minacciano il Brasile
Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha detto che gli Stati Uniti "risponderanno di conseguenza" a quella che ha definito una "caccia alle streghe" contro Bolsonaro, facendo propria la definizione che del processo, conclusosi con una condanna a 27 anni e tre mesi di reclusione.
Per Rubio, la condanna è stata "ingiustamente pronunciata", mentre "le persecuzioni politiche da parte di Alexandre de Moraes, violatore dei diritti umani, continuano". De Moraes è un giudice della Corte Suprema Federale del Brasile contro il quale, il 30 luglio, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni, dopo che contro di lui si era scagliato lo stesso Trump, che ha poi colpito con dazi elevati le merci brasiliane giustificando la sua decisione appunto per le vicende processuali di Bolsonaro.
La critiche di Trump e della sua Amministrazione sono state respinte dal presidente brasiliano Lula da Silva, che ha detto che le vicende giudiziarie di coloro che hanno pianificato un colpo di Stato è una questione che riguarda esclusivamente il sistema giudiziario del paese e "non è soggetto ad alcuna inferenza o minaccia che mina l'indipendenza delle istituzioni nazionali.
La sentenza di condanna ha reso il 70enne Bolsonaro il primo ex presidente nella storia del paese ad essere condannato per aver minacciato la democrazia.
Quattro dei cinque giudici hanno votato a favore della condanna di Bolsonaro con l'accusa di aver cercato di aggrapparsi al potere pianificando un colpo di Stato militare che includeva piani per assassinare da Silva.