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Benigni e l'arte da Oscar di infischiarsene del Codice della strada

Barbara Leone
 
Benigni e l'arte da Oscar di infischiarsene del Codice della strada

Dunque: c'è un tizio in Smart, bloccato nel traffico romano, che parla al telefono tenendoselo all'orecchio come fosse un guscio di lumaca. Niente cinture, niente vivavoce, niente sensi di colpa. Un anarchico stradale qualunque, insomma. Peccato che l'anarchico in questione sia Roberto Benigni, e in Italia questo cambia tutto.

 

Benigni e l'arte da Oscar di infischiarsene del Codice della strada

 

La scena è talmente italiota da sembrare un corto di Sorrentino girato male: traffico capitolino, clacson che suonano come campane dell'apocalisse, bestemmie sottovoce e un automobilista che si ritrova affiancato al premio Oscar più amato d'Italia. "Roberto! ROBERTO!" urla il poveretto, con l'entusiasmo di chi ha appena avvistato la Madonna di Lourdes al semaforo. Invano. Benigni non si gira nemmeno. È impegnato a telefonare, attività che per il resto del popolino comporterebbe la sospensione immediata della patente, ma per lui evidentemente rientra tra i "privilegi da genio".

 

Come l'esenzione dall'IVA o il pass per i bagni del Quirinale. Il video finisce su TikTok - perché se una cosa non viene postata, esiste davvero? - e scoppia il finimondo. Non tanto per il fatto in sé, quanto per la plastica dimostrazione di quella verità inconfessabile che tutti conosciamo ma che nessuno ha il coraggio di dire ad alta voce. In Italia le leggi sono come i sondaggi politici: valgono solo per chi ci crede. Facciamo due conti della serva. Guida col telefono in mano: sospensione della patente da sette giorni a due mesi e multa da 250 a 1.000 euro. Cinture slacciate, penzolanti, libere come una poesia di Alda Merini: 80 euro e 5 punti in meno. Totale: un cittadino normale si ritroverebbe a piedi e col portafoglio alleggerito di mezzo stipendio. Ma Benigni non è un cittadino normale.

 

E’ patrimonio dell'UNESCO, monumento nazionale, intoccabile come la fontana di Trevi. Solo che la fontana di Trevi non guida. I commenti social sono stati di una cattiveria talmente squisita da meritare un premio: "Ecco il nuovo spettacolo: 'Il Codice della strada più bello del mondo'". Premio Strega sezione "sfottò via web". Un altro: "Non gli fanno la multa perché lui è Benigni", osservazione antropologica che dovrebbe essere inserita nei manuali di sociologia del diritto, capitolo "Quando la fama diventa immunità penale".

 

E poi il mio preferito: "È proprio uno del popolo". Eccola, la sintesi perfetta dell'ipocrisia nazionale. Sì, è uno del popolo: di quel popolo che quando viene beccato con il telefono in mano si prende una mazzata da far tremare i polsi, mentre lui probabilmente riceverà una telefonata solidale dal Presidente della Repubblica.

 

Ora, sia chiaro: io adoro Benigni. L'ho amato quando faceva Berlinguer ti voglio bene, quando saliva sui tetti delle auto gridando "Buongiorno principessa!", quando ha conquistato Hollywood facendo piangere mezzo mondo. Ma tra il cinema e la vita reale c'è una differenza sostanziale che nemmeno un Oscar può cancellare: nella vita reale le regole valgono per tutti.

O almeno, dovrebbero. Il problema è che Benigni, nella sua Smart (già la scelta del veicolo è un ossimoro vivente: un genio in una scatola di sardine), sembra aver applicato alla guida lo stesso approccio che ha con Dante: interpretazione libera, licenza poetica, abbandono totale alla creatività. Peccato che l'articolo 173 del Codice della Strada non sia un canto dell'Inferno e che i vigili urbani, notoriamente, abbiano un senso dell'umorismo inferiore a quello di una tegola. La verità è che questo episodio miserello racconta molto di più di una semplice infrazione.

Racconta di un Paese dove esistono cittadini di serie A (quelli con l'Oscar) e cittadini di serie Z (il resto dell'umanità). Dove la legge è uguale per tutti, sì, ma alcuni sono più uguali degli altri. Dove il talento artistico diventa lasciapassare universale, carta bianca, immunità diplomatica. Immagino già la prossima scena: Benigni fermato dalla Polizia Stradale che, invece di multarlo, gli chiede l'autografo. Lui che declama "Libertà vo cercando, ch'è sì cara" mentre scappa a tutta velocità sulla Smart, lasciandosi dietro una scia di cinture slacciate e telefonate compulsive.

Il vigile che si commuove. La multa che si volatilizza. L'Italia che applaude. Intanto, noi comuni mortali continuiamo a pagare le nostre brave multe, a tenere le cinture allacciate, a usare il vivavoce. Non perché siamo più bravi, più onesti o più intelligenti. Semplicemente perché, a differenza di Benigni, quando veniamo beccati non abbiamo un Oscar sul comodino da usare come scudo. Morale della favola: la vita sarà anche bella, Roberto, ma il Codice della strada vale pure per te. A meno che - e qui mi si apre un dubbio atroce - tu non stia girando un sequel: "La vita è bella 2 - Odissea nel traffico romano". In quel caso, chiedo umilmente scusa e attendo con ansia l'uscita nelle sale. Con le cinture allacciate, ovviamente.

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