Oggi nel corso del convegno “Made in Italy ed Eccellenze Fragili”, dedicato al rilancio delle microimprese artigianali della moda, presso il Palazzo dal Lago a Cles in provincia di Trento, alla presenza di istituzioni, scuole, imprenditori e rappresentanti del settore, sotto il patrocinio del Ministero delle Imprese, della Casa del Made in Italy di Trento e Bolzano, dell’Università degli Studi di Trento, dell’UNESCO e del Comune di Cles, illustrato il report del Centro studi di Unimpresa secondo cui l’artigianato moda in Italia, che comprende tessile, abbigliamento, pelletteria e calzature, si conferma un pilastro dell’economia nazionale, con circa 40.000 imprese artigiane attive nel 2024: pur rappresentando il 41,7% delle 96.000 realtà del settore moda, generano un fatturato stimato di circa 21 miliardi di euro, pari al 25-30% del totale settoriale, ma con una flessione dell’8,1% rispetto al 2023, dovuto a congiuntura economica sfavorevole, aumento dei costi e contrazione dell’export (-5,3% nel 2024).
Artigianato Moda: mercato da 21 miliardi in calo (-8%), urgono interventi mirati
Costi energetici (+10,4%) e contraffazione (1,7 miliardi di perdite) pesano sui risultati: «C’è la necessità di politiche mirate per sostenere la competitività dell’artigianato moda, valorizzando le eccellenze regionali e affrontando le fragilità strutturali. Oggi assistiamo a una crescente disconnessione tra i grandi nomi del lusso e le fondamenta artigiane che li rendono possibili. Se da un lato celebriamo operazioni industriali ambiziose, dall’altro trascuriamo quelle migliaia di microimprese che rappresentano l’anima più autentica del Made in Italy. Le botteghe artigiane non sono solo presidi di cultura produttiva, ma anche un modello economico sostenibile, radicato nei territori, capace di creare occupazione e mantenere vive competenze uniche al mondo. La verità è che l’artigianato sta pagando un prezzo altissimo: tra aumento dei costi, calo dell’export e concorrenza sleale, molte imprese rischiano di scomparire nel silenzio», commenta il presidente di Unimpresa Moda, Margherita de Cles.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, la distribuzione regionale dell’artigianato moda evidenzia una forte concentrazione nel Nord e Centro Italia, con differenze marcate in termini di numero di imprese, occupazione e fatturato, riflesse nelle specificità dei distretti produttivi e nelle vocazioni artigianali locali.
La Lombardia si afferma come leader indiscussa, ospitando 9.000 imprese artigiane (22,5% del totale nazionale) e generando un fatturato di circa 5,5 miliardi, pari al 26,2% del comparto artigianale moda. La regione beneficia dei distretti di Milano, centro nevralgico della moda di lusso, e Como, rinomato per il tessile di alta gamma, con un fatturato medio per impresa di 610.000 euro, tra i più elevati d’Italia.
Lombardia, Toscana e Veneto rappresentano oltre il 60% del fatturato nazionale (12,9 miliardi) e il 57% delle imprese artigiane. La Toscana spicca per produttività, con il fatturato medio per impresa più alto, mentre regioni come Campania e Puglia faticano a causa di mercati meno remunerativi.
Il settore dell’artigianato moda, pur resiliente in alcune nicchie di lusso, affronta sfide comuni come il calo dell’export, l’aumento dei costi energetici (+10,4% a marzo 2025) e la contraffazione, che sottrae 1,7 miliardi di annui alle artigiane, soprattutto in Lombardia e Toscana: «È tempo di scelte politiche coraggiose: servono incentivi fiscali, investimenti nella formazione tecnica, supporto alla transizione digitale e strumenti per proteggere il passaggio generazionale. Senza queste leve, continueremo ad applaudire i successi del lusso su scala globale, ma perderemo, pezzo dopo pezzo, il tessuto che li rende possibili. Il Made in Italy non può essere una vetrina da esportare, se non tuteliamo ciò che la rende credibile: la qualità artigiana. Difendere le microimprese della moda significa salvaguardare una storia collettiva di lavoro, sacrificio e bellezza, che non possiamo permetterci di archiviare per perseguire la sola logica del profitto. L’Italia non ha bisogno solo di marchi forti: ha bisogno di mani che sappiano ancora creare», prosegue de Cles.
Nel dettaglio, l’occupazione regionale nel settore moda artigiano conta circa 30.000 addetti in Lombardia, sostenuta da produzioni sofisticate e forte proiezione internazionale, seguita dalla Toscana con 6.500 imprese (16,3%), 4,2 miliardi di fatturato (20%), 25.000 addetti, 645.000 euro di fatturato medio per impresa e un calo limitato del 6% grazie all’export verso Usa e Asia. Il Veneto, con 6.000 imprese (15%), 3,2 miliardi di fatturato (15,2%), 20.000 addetti e fatturato medio di 533.000 euro, subisce un calo dell’8-10% ma cresce del 2,8% verso l’Europa.
L’Emilia-Romagna ha 4.000 imprese, 2,1 miliardi di fatturato (10%), 15.000 addetti e fatturato medio di 525.000 euro, ma un calo degli ordinativi del 10% nel Q4 2024. Le Marche contano 4.000 imprese, 2 miliardi (9,5%), 15.000 addetti, fatturato medio di 500.000 euro e un calo dell’export calzature dell’8,5% con flessione del fatturato del 9%. La Campania ha 3.500 imprese, 1,3 miliardi (6,2%), 12.000 addetti, fatturato medio di 370.000 euro e calo del 12% con -8,4% di export pelli.
La Puglia conta 2.500 imprese, 900 milioni (4,3%), 8.000 addetti, fatturato medio di 360.000 euro. Il Piemonte registra 1.800 imprese, 700 milioni (3,3%), 6.000 addetti e 390.000 euro di media. Il Lazio ha 1.500 imprese, 500 milioni (2,4%), 5.000 addetti e 333.000 euro di media, con calo del 10%. Friuli-Venezia Giulia (600 imprese, 150 milioni, 2.000 addetti) e Trentino-Alto Adige (500 imprese, 120 milioni, 1.500 addetti) mostrano fatturati medi di 250.000-240.000 euro. Umbria (800 imprese, 200 milioni, 3.000 addetti) e Abruzzo (900 imprese, 250 milioni, 3.000 addetti) si distinguono per piccole realtà. Sicilia (1.200 imprese, 300 milioni, 4.000 addetti) e Sardegna (350 imprese, 70 milioni, 1.000 addetti) si attestano su 250.000-200.000 euro medi. Basilicata e Calabria (400 imprese ciascuna, 80 milioni, 1.200 addetti) e il Molise (200 imprese, 40 milioni, 600 addetti) hanno impatto minimo, come la Valle d’Aosta (100 imprese, 20 milioni, 200 addetti).
A marzo 2025 i costi energetici sono saliti del 10,4%, comprimendo i margini, soprattutto nelle regioni con domanda interna debole come Puglia e Lazio. Le perdite annue per contraffazione sono stimate in 1,7 miliardi, colpendo soprattutto artigiani lombardi e toscani: ma solo il 15% delle imprese adotta tecnologie avanzate, penalizzando le regioni meno strutturate.