Cultura

L'altruismo non è un'eccezione: la scienza (e l'esperienza) riscrivono il mito dell’egoismo umano

Redazione
 
L'altruismo non è un'eccezione: la scienza (e l'esperienza) riscrivono il mito dell’egoismo umano

Siamo davvero così egoisti come ci raccontano? O semplicemente ci siamo convinti che l’altruismo sia un lusso per santi e martiri, incompatibile con la frenesia del nostro vivere moderno, competitivo, iperconnesso ma spesso disconnesso dalla nostra stessa umanità?

L'altruismo non è un'eccezione: la scienza (e l'esperienza) riscrivono il mito dell’egoismo umano

L’idea che l’essere umano sia spietatamente individualista, pronto a calpestare il prossimo pur di sopravvivere, è una narrativa antica quanto la civiltà industriale, se non di più. Ma, come tutte le narrazioni tossiche, anche questa rischia di diventare una profezia che si avvera. La psicologia, le neuroscienze e persino l’economia comportamentale iniziano però a raccontare una storia diversa: quella di un’umanità sì imperfetta, ma molto più propensa ad aiutare il prossimo di quanto pensiamo. La BBC, in un approfondito reportage, ha raccolto le evidenze più recenti sul tema, restituendo un ritratto sorprendente — e rincuorante — della natura umana.

Il concetto stesso di individualismo, definito dallo psicologo Geert Hofstede come “la misura in cui le persone si sentono indipendenti, anziché essere interdipendenti come membri di un insieme più ampio”, sembra oggi più una lente culturale che una verità biologica. E se è vero che in Occidente l’individualismo è quasi una religione, è altrettanto vero che l'altruismo continua a emergere, a dispetto di tutto.

Ricordate la tragica storia di Kitty Genovese? È il 1964, una giovane donna viene brutalmente aggredita e uccisa a New York, pare sotto lo sguardo indifferente di 38 persone che, si disse, non mossero un dito. Quel fatto alimentò il cosiddetto "effetto spettatore", ovvero l’idea che più persone assistono a un crimine, meno è probabile che qualcuno intervenga. Peccato che quella storia, come dimostrano studi successivi, sia in gran parte infondata.

Secondo la BBC, “le indagini suggeriscono che le segnalazioni di 38 astanti passivi siano inaccurate”, e che nessuno abbia davvero osservato l’intera scena senza intervenire. Come scrive lo psicologo Steve Taylor della Leeds Beckett University, quella di Kitty Genovese potrebbe essere stata una “parabola moderna” che ha distorto per decenni la percezione dell’aiuto spontaneo. In realtà, siamo molto più inclini ad aiutare di quanto ci piaccia ammettere.

Uno studio del 2020 ha analizzato centinaia di video di aggressioni reali nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Sudafrica, scoprendo che “in nove casi su dieci, almeno una persona ha cercato di intervenire per fermare l’attacco”. E, sorpresa delle sorprese, più grande è il gruppo di testimoni, più aumenta la probabilità di intervento.

Certo, c'è chi sostiene che anche l’altruismo possa avere un tornaconto personale: approvazione sociale, senso di autostima, persino vantaggi biologici. Ma, come nota ancora la BBC, uno studio sui destinatari della Carnegie Hero Medal ha rilevato che questi “altruisti estremi” descrivono le proprie azioni come istintive, quasi automatiche. “È qualcosa che siamo quando non abbiamo tempo per pensare”, osserva Taylor. È l’altruismo che scavalca l’ego.

C'è anche una base evolutiva e neurologica dietro tutto questo. Abigail Marsh, neuroscienziata della Georgetown University, ha scoperto che le persone che hanno donato un rene a sconosciuti presentano un’amigdala più grande e attiva: cioè, hanno un cervello più sensibile alla paura e al dolore altrui. Al contrario degli psicopatici, i donatori reagiscono fortemente alle emozioni altrui. “I risultati del gruppo dei donatori erano l’opposto di quanto ci si aspetterebbe di vedere negli individui psicopatici”, spiega alla BBC.

E pare che nasciamo già con questa capacità. Secondo la psicologa Ching-Yu Huang, “bambini anche di soli 14 mesi dimostrano comportamenti prosociali spontanei, come aiutare adulti a raccogliere oggetti caduti, anche senza aspettarsi una ricompensa”. Una revisione del 2013 ha poi confermato che “il comportamento altruista dei piccoli è intrinsecamente motivato dalla preoccupazione per gli altri”. Essere gentili, insomma, conviene. Non solo moralmente, ma anche fisicamente. Al riguardo uno studio ha dimostrato che i volontari abituali hanno “il 40% di probabilità in meno di sviluppare ipertensione”, oltre a benefici psicologici come riduzione dell’ansia e miglioramento dell’autostima. “Esiste una correlazione così forte tra benessere e altruismo che sarebbe sciocco non vivere altruisticamente”, afferma Taylor. Il problema è che, talvolta, pretendiamo troppo da noi stessi.

Tony Milligan, filosofo morale al King’s College di Londra, ricorda che “la maggior parte delle persone è moralmente mediocre”. Ma questo non è necessariamente un male. “Dovremmo smettere di chiederci ‘Cosa farebbe Buddha?’ e iniziare a domandarci: ‘Cosa sono in grado di fare io?’” dice. L’altruismo, insomma, non è un superpotere. È un’abilità, e come tutte le abilità si allena. Cultura e contesto, infine, contano eccome. Nelle società collettiviste, come molte asiatiche, la responsabilità verso il gruppo è più forte, e spesso interiorizzata. In altre più individualiste, come Regno Unito o Stati Uniti, l’altruismo è visto più come una scelta che come un dovere.

Huang, cresciuta a Taiwan e poi emigrata in Occidente, racconta alla BBC il suo conflitto interiore: “Ero stata educata a mettere sempre gli altri al primo posto. Ma ho capito che a volte devo essere una tigre, soprattutto nel lavoro”. Questa differenza culturale emerge anche nei dati: durante la pandemia, chi viveva in società collettiviste era più incline a indossare la mascherina per proteggere gli altri. “In quelle culture si è più propensi a conformarsi anche se non lo si vuole davvero”, spiega Huang.

La lezione, in fondo, è semplice: l’altruismo non è raro, è solo silenzioso. Non si annuncia a gran voce, non ha bisogno di medaglie. È nella mano che si tende senza esitare, nel gesto che salva anche se non si sa come andrà a finire. E va bene se non siamo Mandela o Gandhi. Va bene essere gentili senza eroismi, disponibili senza annullarsi. La vera sfida non è diventare santi, ma non dimenticare che – sotto la coltre dell’ego, delle scadenze e dei cinismi – siamo ancora capaci di scegliere l’altro, anche quando il mondo ci insegna a scegliere solo noi stessi. E se è vero, come diceva Dickens, che nessuno è inutile se alleggerisce il peso di qualcun altro, allora possiamo ancora sentirci ogni tanto sorprendentemente umani.

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