Ogni uomo è un’isola. Ed è ancora più bello viverci: senza andare a scomodare la metafisica di Lost, ma semplicemente arrivando ad Alicudi, nell'arcipelago delle Eolie, poco a nord della costa messinese, un’oasi di pace di cui si è accorta anche la Cnn, che ha rilevato quanto quest’isola sia un rifugio contro un tempo complesso, in cui recuperare la lentezza del saper vivere tanto elogiata da Milan Kundera.
Non ci sono auto o strade sull'affioramento vulcanico di qualche chilometro quadrato appena, con i sentieri percorribili a piedi. E mentre la copertura per i cellulari è ora disponibile nella maggior parte dei posti, molte case sono prive di elettricità e acqua. Ci sono cento abitanti, ma meno d’inverno, quando la vita diventa più dura, ma non per questo inaffrontabile. Senza un ospedale, i residenti devono viaggiare in traghetto, o in caso di emergenza in elicottero, per ricevere cure mediche.
Alicudi: essere felici nell’isola che c’è
La scuola dell'isola sarebbe chiusa a causa della carenza di bambini, secondo la fotografa italiana Camilla Marrese, che ha visitato Alicudi durante la pandemia per documentare la vita quotidiana.
Ci sono due supermercati e un bar in cui socializzare, aperto solo tre mesi all'anno, ha aggiunto.
"Per il resto dell'anno, il grande raduno sociale comporta andare al molo quando arrivano le barche: vanno lì solo per controllare chi è arrivato e chi sta partendo", ha detto Marrese in un'intervista insieme al suo partner e collaboratore Gabriele Chiapparini. Sperando di catturare un raro scatto dell'isola e dei suoi abitanti durante l'inverno, Marrese e Chiapparini hanno trascorso due mesi ad esplorare Alicudi, fotografandone la natura e facendo amicizia con i suoi residenti.
"Thinking like an Island", il libro che racconta questa storia, mostra scatti paesaggistici che parlano di un profondo senso di isolamento: ma dove non arrivano le istituzioni, si fa strada una forza atavica, che lega con alterne vicende l’umanità dalla notte dei tempi. Il senso di comunità, il senso di appartenenza a un luogo difficile, ma per questo da amare più degli altri, come i figli ribelli.
Alicudi potrebbe essere stata popolata già nel XVII secolo a.C., sebbene la migrazione in entrambe le direzioni, inclusa la partenza degli isolani verso la terraferma italiana e più lontano, in particolare l'Australia, abbia visto la sua demografia cambiare significativamente negli ultimi decenni.
La fotografa ha descritto la popolazione attuale come composta da "molte isole all'interno della stessa isola", una combinazione di locali di lunga data (alcuni dei quali, ha detto, si definiscono ironicamente "indigeni") e stranieri che si sono trasferiti da altre parti d'Europa in cerca di tranquillità.
"Abbiamo parlato con molte persone che hanno scelto l'isola perché sono stanche di come sta andando il mondo in questo momento: il cambiamento climatico, l'inquinamento, il modo in cui coltiviamo le verdure o i nostri sistemi economici", ha detto Chiapparini. Come sempre accade nelle comunità umane, grandi o piccole che siano, non può essere sempre tutto rose e fiori: al senso di appartenenza e agli aspetti migliori della società si contrappongono anche le piccole bassezze, le meschinerie, i conflitti inutili: Marrese ha paragonato la convivenza degli isolani alla vita in un condominio: "Non ti piacciono i tuoi vicini, ma quando arriva la tempesta vi aiutate a vicenda".
I fotografi hanno scoperto che la mentalità degli isolani, forse dovuta alla natura transitoria della sua popolazione stagionale, ha reso facile per loro guadagnarsi rapidamente la fiducia delle persone e a convincerle a posare per le foto: "Sono molto abituati a costruire rapidamente forti connessioni, a creare situazioni sociali e relazioni forti. E sono anche molto abituati a vedere le persone andare via, ad avere questo ricambio di persone e ad affrontare il fatto che le cose non sono in qualche modo permanenti".
L’isola come maestra di vita, insomma: i ritratti, alcuni oscurati per motivi di privacy, degli abitanti, aumentano il senso di mistero che circonda l'isola, ricca di folklore locale. Un curioso aspetto di queste tradizioni è la produzione accidentale di pane aromatizzato con allucinogeni. Fino agli anni '50, la gente del posto consumava pagnotte contaminate da un fungo della segale, ingrediente base dell'LSD. Generazioni di abitanti del villaggio mangiavano inconsapevolmente la "segale cornuta": potrebbe essere questa la causa di vari miti locali, come la "maiara", che significa "strega" in dialetto eoliano, che si diceva volasse nel cielo sopra Alicudi.
La cultura dell’isola ha ancora molto da raccontare, come una processione annuale con una statua di San Bartolo e pratiche tradizionali come la tessitura e come la raccolta dei capperi. I fotografi raccontano che molti residenti si sono trasferiti dalle zone più alte dell'isola verso il mare e che la maggior parte dei giovani ora lavora nell'edilizia, ristrutturando o costruendo case da affittare durante l'estate.
Marrese racconta di un luogo molto povero: “Fino alla seconda metà del secolo scorso, l’economia era basata principalmente su agricoltura e pesca, poi è arrivata l’elettricità negli anni Novanta, il turismo, il denaro, e tutto è cambiato all’improvviso”. Come in tutti i luoghi dove la popolazione è sparuta, ad essere interessante non è soltanto chi vi abita ma il luogo stesso, la sua conformazione che sembra plasmare anche la mentalità autoctona: la topografia accidentata di Alicudi, con le sue pareti rocciose scolpite e le sue ripide scogliere, diventa uno dei protagonisti chiave del loro racconto fotografico.
"Penso che vivere sull'isola ti faccia evolvere, fisicamente e psicologicamente", ha detto Marrese, notando la facilità con cui gli abitanti navigano sull'isola nell'oscurità della notte, connettendosi ai ritmi della natura che li circonda. Un’esperienza che in ogni caso segna e per sempre, creando un legame con il luogo: Chiapparini e Marrese hanno dichiarato di avere ora un forte legame personale con l'isola, sono rimasti in contatto con diversi residenti e affermano che le loro esperienze hanno lasciato in loro un apprezzamento più grande per la vita semplice.
Quando sono nell’isola pensano che vorrebbero vivere lì, ma rendendosi conto che si tratta di un’utopia, ammettono: "Non c'è un solo modo di vivere, ci sono molti modi diversi. E gli isolani sono d'accordo".