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Ruffini lascia l'Agenzia delle Entrate, ed è polemica sul perché

Redazione
 
Quando si lascia un posto pubblico (o comunque importante) e lo si fa prima della scadenza, si può decidere di farlo in silenzio oppure, come si suole dire, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe.
Ernesto Maria Ruffini, direttore dell'Agenzia delle Entrate, ha scelto la seconda opzione, accompagnando la sua uscita con una serie di considerazioni che, visto il loro contenuto e l'incarico dal quale ha deciso di dimettersi, hanno provocato delle reazioni, alcuni delle quali molto vicine al cattivo gusto.

Ruffini lascia l'Agenzia delle Entrate, ed è polemica sul perché

Il nome di Ruffini, in questi ultimi giorni, è stato fatto come possibile collante tra le anime della sinistra del Paese. Un giochino al quale si è sottratto, lasciando ad altri il compito di divertirsi al ''toto-federatore''.
Per il momento Ruffini se ne va, forte del fatto che, sotto la sua guida, l'Agenzia delle Entrate è riuscita nell'obiettivo di ridurre l'evasione. Che è poi il ruolo della struttura, che non è né un ufficio che elargisce beneficienza, né, tanto meno, autorizzato a comportarsi come un dispensatore di deroghe e perdoni fiscali.
L'Agenzia delle Entrate sta li a controllare che tutti (o, almeno, la maggioranza) paghino le tasse.

Eppure, lamenta Ruffini, in una intervista al Corriere della Sera, ''a volte sembra quasi che contrastare gli evasori sia una colpa e ci si preoccupi più di questo che degli ospedali che chiudono, delle scuole che non hanno fonti o della carenza di servizi perché le risorse sono insufficienti". Il ragionamento di Ruffini non fa una grinza: se tutti pagassimo il dovuto, avremmo più e migliori servizi. Un obiettivo che si avvicina anche grazie ai 31 miliardi di evasione recuperati in un anno.

Sul fatto che lo si tiri per la giacchetta per trascinarlo in un ambito politico, Ruffini replica dicendo che ''la mia unica bussola in questi anni è stata il rispetto per le leggi e per il mandato che mi è stato affidato, perché il senso più profondo dello Stato è questo: essere al di sopra delle parti, servire il bene comune. Quello che è accaduto in questi giorni intorno al mio nome descrive un contesto cambiato rispetto a quando ho assunto questo incarico e anche rispetto a quando ho accettato di rimanere. Ne traggo le conseguenze".
Un uscita dal palcoscenico intrisa di polemica, ma anche di amarezza, per quello che è il giudizio che una certa parte politica ha dell'Agenzia delle Entrate, di cui si parla come se i suoi funzionari, anziché uomini dello Stato, siano una banca di grassatori che estorce piuttosto che esigere.

La scelta di Ruffini di lasciare la sua poltrona prima della scadenza naturale dell'incarico è stata accolta con entusiasmo dalla Lega con un ragionamento che sembra dimenticare quali compiti sono demandati all'Agenzia che, se non li perseguisse, tradirebbe i suoi doveri. La Lega, in una nota del partito, dopo avere dato atto che "la lotta all'evasione fiscale è giusta e non a caso negli ultimi anni sono state recuperate cifre record (nel 2023, 24,7 miliardi: 4,5 miliardi in più rispetto al 2022)'', si lancia in una spericolata interpretazione del ruolo dell'Agenzia, dicendo che ''un conto è contrastare chi non vuole pagare le tasse e un altro è vessare, intimidire e minacciare i contribuenti che hanno rispettato le regole con le oltre 3 milioni di lettere inviate sotto Natale''.

''A Ruffini - conclude la Lega, manco stesse parlando con un brigante di strada o a un borseggiatore - auguriamo le migliori fortune, ma ben lontano dai portafogli degli italiani".
Una frase pesante che spinge a fare una domanda: ma se Ruffini avesse mancato l'obiettivo di alzare il livello della lotta all'evasione e di raggiungere i risultati invece conseguiti, cosa avrebbe fatto la Lega, proporlo per la beatificazione? Perché se dici cose così pesanti per uno che, in un modo o nell'altro, ha fatto quello che gli è stato chiesto, non possiamo nemmeno immaginare cosa avrebbe profferito nel caso in cui avesse fallito.
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