Economia
Verso la manovra 2026, tra vincoli europei e sfide interne
di Redazione

La Legge di Bilancio 2026 entra nel vivo con un calendario serrato: entro il 2 ottobre l’aggiornamento del quadro di finanza pubblica, entro il 15 ottobre il Documento programmatico di Bilancio da inviare a Bruxelles e il 20 ottobre la presentazione al Parlamento. Una manovra che si annuncia complessa, chiamata a bilanciare vincoli europei, bassa crescita e pressioni sociali.
Il contesto resta fragile. L’economia reale soffre il rallentamento della manifattura, soprattutto nei comparti moda e meccanica, penalizzati dai dazi statunitensi, mentre i consumi interni e i flussi turistici non offrono lo slancio atteso. A fronte di un mercato del lavoro che ancora regge, le previsioni di assunzione per l’autunno sono in calo del 2,1%. Le tensioni geopolitiche mantengono elevata la pressione sui prezzi energetici, per famiglie e piccole imprese il costo dell’elettricità resta superiore del 22,5% rispetto alla media Ue, con un peso fiscale e parafiscale più che doppio.
Eppure, alcuni segnali positivi rafforzano le prospettive della finanza pubblica. La revisione al rialzo del Pil da parte dell’Istat, l’andamento delle entrate e il calo della spesa per interessi potrebbero consentire all’Italia di riportare il deficit sotto il 3% già nel 2025, aprendo la strada a una possibile uscita anticipata dalla procedura europea per disavanzo eccessivo. Lo spread è sceso ai minimi dal 2010, a 91 punti base, mentre le principali agenzie di rating hanno confermato o migliorato l’outlook sui titoli di Stato.
La cornice delle nuove regole Ue impone una crescita contenuta della spesa primaria netta, fissata all’1,5% medio annuo fino al 2029. Al momento, i conti italiani rispettano il percorso programmato, ma i margini di manovra restano stretti. Tra le priorità annunciate figura la riduzione dell’Irpef, con l’obiettivo di alleggerire una pressione fiscale che resta più alta della media europea di oltre due punti di Pil.
Sul fronte della difesa, pesa l’impegno NATO a portare la spesa al 5% del Pil. L’Italia è ferma all’1,5% e qualsiasi incremento rischia di comprimere altre voci strategiche, dagli investimenti pubblici agli interventi industriali. La dipendenza dalle importazioni extra Ue per armamenti, in gran parte dagli Stati Uniti, limita inoltre l’efficacia espansiva della spesa militare.
La sostenibilità del debito si gioca anche sul terreno degli investimenti. Dopo anni di frenata, nel secondo trimestre 2025 gli investimenti in macchinari sono tornati a crescere (+1,8%), ma restano penalizzati dal caro-tassi. Risorse non utilizzate per oltre 4 miliardi di euro nel programma Transizione 5.0 potrebbero essere riallocate per sostenere la produttività e la transizione green, con un focus sulle pmi e non solo sulle grandi imprese energivore.
Per quanto riguarda l’edilizia, i bonus dovranno essere rifinanziati per centrare gli obiettivi europei di riqualificazione energetica degli immobili. Oggi oltre metà del patrimonio abitativo italiano si colloca nelle classi meno efficienti (F e G), con consumi energetici ed emissioni quasi doppi rispetto agli edifici più performanti.
Infine, il PNRR. La Corte dei conti rileva che al 2024 era stato speso solo il 44% delle risorse programmate, e a meno di un anno dalla scadenza di agosto 2026 restano da utilizzare oltre 130 miliardi. La Commissione europea ha già richiamato l’Italia a un’accelerazione.