Esteri

Usa-Europa. L'America allarga il solco con l'Ue, facendo felice Putin

di Diego Minuti
 
Usa-Europa. L'America allarga il solco con l'Ue, facendo felice Putin

L'acqua calda, dopo una lunga ricerca, è stata scoperta: gli Stati Uniti di oggi non sanno che farsene di un'Europa che rivendica la propria autonomia rispetto alle scelte della Casa Bianca e, non essendo commercialmente sfruttabile, che se ne vada da sola, abbandonata al suo destino. Che è quello di rimanere marginale nel grande gioco della politica globale.

Chi oggi si dice sorpreso, inorridito o semplicemente deluso delle idee che frullano nella testa del tycoon non è un attento lettore, perché appena pochi mesi fa quel che oggi Trump ha detto, nella sua definizione della politica americana, era stato anticipato dal suo vice, JD Vance che, nella prima sortita in Europa, nel suo ruolo di delfino (per il momento) del capo, era stato, semmai possibile, ancora più esplicito, reclamando dall'UE un cambio di passo per restituire al Vecchio Continente la violata democrazia.

Ora, anche se parliamo di un esponente dell'America rurale, trovatosi all'improvviso sotto le luci della ribalta, nazionale e internazionale, mancando di qualsiasi esperienza che ne potesse giustificare la nomina a vice di Trump, il suo scagliarsi contro l'Europa comunitaria, accusata di soffocare il dissenso (intendendo governi e partiti che flirtano con l'autocrazia o, peggio, con il sogno di una dittatura, seppure mascherata) è stata la prima avvisaglia o conferma di quel che sarebbe accaduto nei mesi seguenti. Quelli che hanno visto Trump usare la presidenza come lo strumento personale di arricchimento, per sé e la sua famiglia (con operazioni comunque tutte lecite, ma che, in altri latitudini, avrebbero fatto insorgere la gente comune), ma soprattutto come affermazione di una supremazia globale che era stata messa da parte negli ultimi decenni, nella considerazione che gli equilibri internazionali non possono essere decisi o condizionati solo da uno dei giocatori di questa complessa partita.

Quindi, con la pubblicazione quasi camuffata della strategia dell'America di Trump, la Casa Bianca ha solo confermato quello che appariva l'indirizzo già impresso alla politica internazionale degli Stati Uniti: sempre meno coinvolti nelle vicende lontane da casa, ma cercandosi alleati laddove prima c'erano nemici. Nell'ultima categoria resta comunque la Cina, ma per un motivo banalissimo: è l'unico Paese in grado di guerreggiare con l'America in campo tecnologico, quello che Trump difende a spada tratta, dopo che i suoi colleghi miliardari, nel giorno dell'insediamento, lo hanno glorificato con un bacio della pantofola al quale si sono piegati anche quelli che, appena pochi mesi prima, lo dipingevano come un palazzinaro, maneggione, evasore fiscale e anche con le mani lunghe verso l'altra metà del cielo.

L'endorsement che è arrivato, a Trump, dal portavoce del Cremlino, Dmitrij Peshkov, in altri tempi sarebbe stato motivo di imbarazzo, ma non oggi, quando gli Stati Uniti hanno retrocesso l'Europa, nella loro scala di interesse, dietro tutti, cercando di colpirla non solo sul piano economico, ma anche su quello politico, intendendo anche la gestione dell'immigrazione e la salvaguardia delle proprie radici culturali, sociali, etniche.

Detto da chi sta rastrellando, in tutti gli Stati Uniti, decine di migliaia di persone (accusate di non avere regolarizzato la loro presenza sul territorio), da chi sta dividendo famiglie, da chi sta cancellando anni di vita normale e rispettosa della legge, spazzando attività economiche e mettendone a rischio molte altre (destinate al fallimento perché private della forza lavoro), non è convinca più di tanto.

Ah, poi ci sarebbe anche Elon Musk, che paragona l'Europa comunitaria al Reich, il quarto precisa. Verrebbe ora da chiedersi cosa ne pensano quelli che, sino a ieri e magari anche oggi, lo celebrano come il profeta del nuovo rinascimento. 

 
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