Economia

Reddito liquido contro peso fiscale ed eliminazione anno d’imposta

 
Reddito liquido contro peso fiscale ed eliminazione anno d’imposta
L’Editoriale di Angelo Lucarella

Dove sta scritto in Costituzione italiana che i contribuenti devono pagare le imposte in base all’anno solare? Da nessuna parte. È previsto, invece, che il cittadino paghi in ragione alla capacità contributiva per concorrere alle “spese pubbliche”.

Da questa premessa si ricava che il principio d’imposta è la spesa e non la riserva (che invece, come risparmio, è incoraggiata per i privati); ciò significa che la previsione di introito erariale deve fluttuare in base al requisito di liquidità del costo (cioè quanto effettivamente lo stato deve pagare una certa opera ad esempio).
 
Allora, come si stabilisce in che modo assumere una previsione di spesa pubblica? Con il bilancio di previsione e, da quando ci sono le regole europee sull’equilibrio finanziario degli stati membri, con il famoso patto di stabilità.

Ma la previsione di spesa pubblica annuale o pluriennale può scindersi dal concetto di anno d’imposta con assoluta facilità (e doverosità): lo Stato può fare previsione in base a flussi reali quotidiani o mensili.

Si eliminerebbero così due cose: da una parte, gli odiosi acconti d’imposta e, dall’altra parte, gli omessi versamenti (soprattutto incolpevoli). Sul primo problema è assurdo il mantenimento in vita della misura di anticipo all’erario dal momento che è palesemente incostituzionale versare in base ad una capacità contributiva futura e quindi non realizzata. Sul secondo problema è altrettanto assurdo non comprendere che l’omesso versamento d’imposta avviene, tendenzialmente, per due motivi: 

1) chi matura la capacità contributiva per l’anno d’imposta dovrebbe versare il tutto l’anno successivo (in base al principio di competenza fiscale) e non potendolo fare per un sopraggiunto problema di liquidità familiare o crisi societaria, di fatto, non versa quanto dichiarato (ciò comportando a catena altri effetti negativi come il non incasso dello Stato che deve impegnare l’Agenzia delle Entrate riscossione per il recupero che, con buona probabilità, non avverrà mai o non per l’intero); 

2) chi dichiara e omette lo fa per aprire e chiudere facilmente l’attività.


L’anno d’imposta, quindi, è un obbligo non di natura costituzionale ma di altra natura: è previsto in base a leggi che servivano in un’altra epoca ovverosia quando il tempo di controllo era dilatato e diluito su concezione pluriennale (atteso che non c’erano strumenti digitali ed informatici di comunicazione contestuali all’Agenzia delle Entrate).
 
Invece noi contemporanei, appunto, viviamo nella dimensione dell’immediatezza informatica, telematica e di accessibilità tributaria in ogni momento. Peraltro, aggiungendosi a ciò lo scontrino e la fatturazione di natura elettronica.
 
Ebbene, eliminando il concetto di anno di imposta si potrebbe dare spazio ad uno più semplice e virtuoso come il “reddito liquido”.

Quella del reddito liquido è una teoria che si impregna di diritto tributario, economia e matematica: è molto complessa nella sua comprensione popolare, ma assolutamente funzionale e semplice nella sua visione applicativa. 

Si tratta di tassare ciò che è effettivamente in tasca e che viene, pertanto, tassato al momento della sua spesa con un unico handicap iniziale: capire come tassare la transazione digitale e quella per contanti perché il reddito liquido funziona se il prelievo fiscale avviene al momento stesso dello scambio merce-denaro senza sostituti e sostituiti d’imposta.

Più chiaramente: una società vende ad un’altra società un macchinario al prezzo di euro 1.000,00 e con pagamento per bonifico. La tassazione per reddito liquido andrebbe subito a colpire il momento esatto del trasferimento abilitando l’Agenzia delle Entrate a prelevare dal conto corrente (occorrendo, per l’effetto, migliori normative sulla privacy) l’imposta generata a fine generata sull’imponibile prodotto. 

Si potrebbe opinare che tale tipo di tassazione colpirebbe più pesantemente un mezzo di pagamento lecito come quello digitale piuttosto che quello in denaro circolante (altrettanto lecito). Ciò non avverrebbe sul piano sostanziale (non su quello formale) per almeno due motivi: 

– primo perché le transazioni digitali sono imposte per legge da un certo ammontare in poi e quindi hanno di per sé un vantaggio competitivo che non le rende uguali rispetto all’utilizzo del denaro contante;

– secondo perché mentre il denaro contante è un mezzo di pagamento lecito basato sul criterio della disponibilità economia al portatore (cioè che segue la realtà dello scambio) la transazione digitale è un mezzo di pagamento lecito basato sul criterio di disponibilità finanziaria (cioè che segue il servizio bancario)
.

Infine riguardo ai numeri: le transazioni digitali italiane ammontano a circa 481 miliardi nel 2024. Immaginando una tassazione giornaliera (quindi per flusso reale) e non più per anno d’imposta (cioè per competenza) è presto certo che l’omesso versamento non possa più verificarsi (stiamo parlando di circa 70/80 miliardi l’anno di imposta dichiarata e non versata) e lo Stato potrà incassare molto di più di quanto riesca ad oggi con la possibilità di investire maggiormente in sanità, istruzione, sicurezza, ecc. 

Unica perplessità si mostrerebbe sul tema del rispetto della progressività, ma su questo basterebbe leggere ancora una volta la Costituzione: mentre la spesa pubblica si basa sul principio (economico) di capacità contributiva del cittadino, il sistema tributario (giuridico) si regge sulla visione della tassazione progressiva che non per forza di cose deve seguire il reddito conseguito a fine anno, ma potrebbe basarsi su quello speso in termini di giornaliero o settimanale o mensile.

 
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