Le medie imprese italiane si confermano un’eccellenza della manifattura europea, superando Germania e Francia per produttività e collocandosi al secondo posto in Europa per crescita di fatturato e occupazione, dietro solo alla Spagna. È quanto emerge dal XXIV Rapporto sulle medie imprese industriali italiane, presentato a Genova da Mediobanca, Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne.
Il tessuto delle Mid-Cap italiane - circa 3.650 realtà attive principalmente nei settori del Made in Italy - rappresenta oggi il 17% del fatturato dell’intera industria manifatturiera nazionale e il 14% delle esportazioni. Tra il 2014 e il 2023, queste imprese hanno registrato una crescita della produttività del lavoro del 31,3%, superiore a quella di Spagna (+29,9%), Germania (+25,8%) e Francia (+20,2%).
Per l’anno in corso si prevede un aumento del giro d’affari del 2,2% e dell’export del 2,8%. Tuttavia, le Mid-Cap devono fare i conti con alcune minacce strutturali e contingenti: il 70% lamenta la concorrenza sleale di operatori low-cost, mentre oltre la metà è preoccupata dagli effetti di nuovi dazi commerciali, in particolare dagli Stati Uniti, che potrebbero impattare sull’export di oltre il 60% delle aziende attive su quel mercato.
A ciò si aggiungono le criticità legate al caro energia, al mismatch tra domanda e offerta di competenze e a un’elevata pressione fiscale. Se le medie imprese avessero beneficiato delle stesse aliquote fiscali delle grandi, avrebbero risparmiato 6,2 miliardi di euro in dieci anni.
Il 55% delle Mid-Cap italiane ha in programma investimenti in nuove tecnologie, il 52,8% nello sviluppo di nuovi prodotti e il 29,1% nella transizione verde. Ma il percorso verso la sostenibilità resta sfidante: il 62,3% non riesce ancora a misurare le proprie emissioni di gas serra e solo il 40,9% ritiene raggiungibile l’obiettivo zero emissioni al 2050.
In parallelo, l’80,4% ha avviato progetti ESG, soprattutto ambientali, trainati da obblighi normativi, esigenze reputazionali e visione imprenditoriale. Tuttavia, più di un terzo delle imprese segnala un eccessivo carico burocratico nell’adesione ai programmi UE sulla transizione verde.
Le medie imprese italiane hanno aumentato l’occupazione del 24,2% nell’ultimo decennio, ma restano indietro su parità di genere (le donne sono solo il 25% della forza lavoro) e inclusione generazionale (under 30 al 18,3%). Il mismatch di competenze colpisce l’80% delle imprese, che reagiscono investendo in formazione (40,4%) e automazione (37%).
Secondo Giuseppe Molinari (Tagliacarne), “queste realtà produttive dimostrano che un family business ben organizzato può eccellere in innovazione e competitività”. Andrea Prete (nella foto) di Unioncamere, invita però a non abbassare la guardia: “Servono interventi strutturali per sostenere la crescita e proteggere queste imprese dalle incertezze globali”.
Gabriele Barbaresco (Mediobanca) sottolinea l’importanza della governance e del rafforzamento organizzativo come passaggio obbligato per affrontare la complessità del contesto competitivo.
Con una propensione all’export del 42% e un contributo al totale nazionale del 45%, le medie imprese italiane si candidano a essere il motore della nuova crescita industriale europea. A patto, però, che non vengano lasciate sole a fronteggiare sfide sistemiche che vanno dalla transizione green alla competitività globale.