Attualità

Mattarella all'Italia: crediamo in noi stessi e investiamo sui nostri giovani

di Diego Minuti
 
Mattarella all'Italia: crediamo in noi stessi e investiamo sui nostri giovani
Il 2026 non è un anno qualunque perché, ottant'anni fa, segnò l'inizio della nuova Italia, quella uscita a pezzi da una guerra insensata, insulsa, dettata da una ideologia che faceva (purtroppo lo fa anche oggi) leva sulla sopraffazione e sull'annientamento del pensiero diverso.

Con la nascita della Repubblica l'Italia, grazie alla sua Costituzione, si volle dare un futuro di democrazia, di convivenza, di rispetto, di negazione della violenza dello Stato. Cose che oggi sono entrate nel lessico quotidiano, ma che, ottant'anni fa, erano concetti dirompenti per chi aveva vissuto (il fascismo, nel fascismo, sotto il fascismo) per venti lunghissimi anni senza alcuna libertà.

Questa sera, da presidente della Repubblica - che è di tutti e sulla quale nessuno può vantare diritti o primazie, a dispetto del primato del consenso popolare -, Sergio Mattarella ha parlato per l'undicesima volta al Paese, non facendo distinzioni tra chi la pensa in un modo o in un altro diametralmente diverso. 

Ha parlato a tutti, perché temi come la pace non sono patrimonio di questo o quel partito, perché, ciascuno a suo modo, ognuno la persegue. Che poi lo si faccia per interesse di parte e non per spirito universale è problema che attiene ai singoli.
 
Ma la pace deve essere desiderata a patto che sia giusta, a patto che non sia conseguenza di una aggressione - la Russia nei confronti dell'Ucraina - o che si serva di essa (o della ricerca della sicurezza) per scatenare un conflitto che cancelli un popolo - Israele vs Gaza - .
 
Mattarella, da uomo di legge, da conoscitore della politica, da sapiente equilibratore del linguaggio, da chi la violenza la porta sulla propria carne, per accadimenti di mafia, non ha affondato il colpo, come pure sarebbe stato facile, guardando a quello che anche in queste ore accade. 

Perché se in Ucraina si muore sotto le bombe, lo stesso accade per i gazawi, dove la morte arriva dal cielo e dalla terra, pioggia e fango, che sigillano vite e speranze, nel dedalo di viuzze di quel che resta della capitale della Striscia. 

Il presidente della Repubblica, in quello che è ormai un evento che fa parte del rituale del Quirinale e che dovrebbe essere preso come canone dalla classe politica e da tutti gli italiani - venendo da chi, dello Stato e delle sue prerogative è custode, ma anche arbitro ultimo - ha guardato al Paese, che, di materia per discutere, anche quest'anno ne ha messa molta.  

L'anno che si conclude non è stato facile, per tutti. Perché, se il piatto piange (le tasche degli italiani non tintinnano più come un tempo), la colpa deve pure essere di qualcuno, e se nessuno se ne fa carico  evidentemente c'è chi si scansa dall'assumere una qualsivoglia responsabilità.

Ed è forse questo che ha spinto Mattarella a richiamare il Paese (nella sua totalità, ma con un occhio a quanto si agita nel Palazzo) a quello spirito di comunione di intenti che dovrebbe essere la normalità e che invece, nel tempo, è sfumato, perdendosi nelle nebbie della politica politicante.
 
L'Italia di oggi non è quella di ieri, e verrebbe da dire ''purtroppo'' , perché il tessuto sociale è dilaniato da guerre di religione che ai più sembrano incomprensibili, anche se in esse vi si coglie con nettezza la finalità.

Quindi nemmeno sullo sfondo si è intuito qualche riferimento alle riforme che si sono ''abbattute'' o ''apportate'', decidete voi il verbo, sulla Giustizia, che per la maggioranza di governo sono, per dirla come Saddam Hussein, la madre di tutte le battaglie, combattute nel nome di chi, con i magistrati, aveva scatenato una guerra di annientamento e vantandosi pure di essere il più inquisito d'Italia.

Il presidente, fedele al suo ruolo, non ha certo negato l'evidenza, e cioè che il Paese vive un evidente scollamento tra il corpo elettorale. che sembra avere abiurato alla sua funzione, e la politica, che troppo spesso mostra di sè il lato peggiore e non invece il buono che fa. Quando, ad esempio, si sforza di trovare - anche se lo fa raramente - soluzioni condivise ai problemi, preferendo la rissa, l'insulto, l'aggressione verbale.

E dire che di problemi che potrebbero essere soluti grazie ad una intesa bipartisan ce ne sono tanti, come l'emergenza delle carceri e l'emorragia di giovani cervelli che lasciano i luoghi dove sono nati e cresciuti, alla ricerca di un domani, anche al di là dell'estrema Thule, l'estero che non vede l'ora di spalancare le braccia alle nostre migliori intelligenze.

Noi che non sappiamo trattenere i nostri giovani eppure non abbiamo la capacità di accettare chi viene da lontano e chiede solo di potere vivere, a patto che accetti le nostre leggi, le nostre regole e che rispetti la nostra cultura.   

Ma che Mattarella abbia parlato, oggi come ieri, con il verbo della ragionevolezza lo conferma anche altro. Come ad esempio il fatto che contro di lui e le sue ferme prese di posizioni si sia scatenata l'informazione di parte, da destra e da (quasi) sinistra, accusandolo d'ogni cosa, persino di perseguire un golpe istituzionale, persino di essere un guerrafondaio, bombardatore di innocenti, come chi abbia fatto del concetto di ''coventrizzazione'' del conflitto in Ucraina messa in atto da Putin una scusa per vestire i panni del dottor Stranamore. 
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