Le imprese italiane si preparano ad affrontare l’impatto dei nuovi dazi statunitensi del 15% con una risposta strutturata che punta su diversificazione dei mercati esteri ed efficientamento dei costi produttivi. Secondo il Centro Studi di Unimpresa, il potenziale di assorbimento dell’impatto tariffario da parte del sistema produttivo nazionale è stimato tra i 7 e gli 11 miliardi di euro, a fronte di un’esposizione complessiva ai dazi compresa tra 6,7 e 7,5 miliardi.
I settori più colpiti – agroalimentare, meccanica, moda e design – possono contare su filiere flessibili, forte riconoscibilità internazionale e una solida esperienza maturata durante precedenti crisi geopolitiche e commerciali. L’export verso gli Stati Uniti, che vale attualmente 66-70 miliardi di euro l’anno, può essere in parte riallocato verso mercati alternativi, come India, Messico, Vietnam, Arabia Saudita e Brasile, recuperando tra i 5 e gli 8 miliardi in volumi di fatturato.
Secondo Giuseppe Spadafora, vicepresidente di Unimpresa, “i nuovi dazi USA rappresentano una sfida, ma non un punto di rottura. Le imprese italiane possono reagire con razionalità, combinando apertura a nuovi mercati, ottimizzazione dei costi e consolidamento della propria presenza internazionale”.
Il report evidenzia come reindirizzare anche solo una quota del 10-15% dell’export USA verso economie emergenti e dinamiche potrebbe garantire una compensazione parziale dell’impatto tariffario. A fare da traino sarebbero in particolare i comparti del lifestyle italiano, che godono di una reputazione di qualità molto forte in mercati come l’Asia, l’America Latina e il Golfo.
Accordi commerciali già in essere, come quelli tra UE e Giappone o Vietnam, offrono ulteriori margini per penetrare questi mercati in modo competitivo. In America Latina, l’accordo UE-Mercosur rappresenta una leva potenziale per accedere a economie come Brasile e Argentina. Altri sbocchi interessanti sono offerti da Nord Africa, Africa subsahariana e Europa extra-UE, grazie a canali logistici e normativi già consolidati.
Oltre alla strategia esterna, molte imprese italiane stanno lavorando sul fronte interno per neutralizzare gli effetti del dazio. Ridurre i costi di produzione del 5% grazie a automazione, digitalizzazione, energy saving e riorganizzazione logistica può consentire di compensare fino a un terzo del dazio. Le imprese già attive sul territorio americano possono inoltre valutare la delocalizzazione parziale della produzione per trasformare una parte dell’export in produzione locale, eludendo così le nuove barriere tariffarie.
Un programma strutturato di efficientamento può generare risparmi fino a 2-3 miliardi di euro l’anno, evitando che l’intero aumento dei costi venga trasferito sui prezzi al consumo. Questo intervento preserva la competitività delle filiere italiane e limita l’impatto dei dazi sul PIL nazionale, stimato sotto lo 0,2% nel triennio 2025–2027.
L’Italia può contare anche sulla capacità distintiva dei propri prodotti, spesso apprezzati per design, sostenibilità e tracciabilità. Rafforzare questi asset consente di contenere l’effetto prezzo e mantenere la posizione nei mercati esteri, anche in condizioni meno favorevoli. La reputazione del Made in Italy rimane infatti un vantaggio competitivo fondamentale, soprattutto nei settori premium.
Le imprese che investiranno su qualità e innovazione saranno quelle più pronte a cogliere le opportunità di questa transizione, trasformando un vincolo normativo in uno stimolo al rinnovamento industriale.
Il Centro Studi di Unimpresa richiama infine l’attenzione sulla necessità di politiche industriali mirate per sostenere il percorso di adattamento delle imprese. Misure come credito agevolato, incentivi all’internazionalizzazione, supporto alla digitalizzazione e all’automazione sono fondamentali per tradurre la resilienza del tessuto produttivo italiano in una vera strategia di rilancio competitivo.