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Dopo aver vinto vari premi Oscar per il film Niente di nuovo sul fronte occidentale (originale tedesco: Im Westen nichts Neues; inglese: All Quiet on the Western Front: è l’ultimo adattamento del celebre libro di Eric Maria Remarque), il regista austriaco Edward Berger firma Conclave, portandoci nel cuore di uno degli eventi più misteriosi e imperscrutabili del mondo: l’elezione di un nuovo successore di Pietro. Facendo seguito alla morte improvvisa dell’amato e compianto papa (di cui per una sorta di aura di riserbo non viene neppure vagamente accennato il nome, lasciando aperta ogni interpretazione, compresa quella del possibile riferimento al pontefice attualmente regnante), il Cardinale Thomas Lawrence (Ralph Fiennes), nella sua veste di cardinale decano, è incaricato di dirigere questo delicato processo, il cosiddetto conclave (dal latino conclāve ‘camera che si può chiudere con la chiave’, composto di cŭm ,’con’, e clāvis, ‘chiave’). Ma non appena i cardinali più potenti e autorevoli della Chiesa Cattolica si sono riuniti e chiusi nelle stanze segrete del Vaticano, Lawrence si ritrova incastrato in una rete di intrighi, tradimenti e giochi di potere.
Il film inizia con l’immagine di un cardinale che si dirige tutto teso lungo un’ampia strada, solcando la notte romana, con la sua berretta cremisi ben stretta in mano. È un’immagine cruda, a tratti quasi comica, con le eleganti vesti di questo sommo sacerdote che arranca in un cupo scenario urbano contemporaneo. I personaggi di Conclave non trascorreranno molto tempo nel mondo in generale – questa è una delle poche volte in cui ne vedremo uno all’esterno – ma la dissonanza continuerà a manifestarsi. In fondo, sono uomini che svolgono quella che considerano una funzione antica: eleggere un nuovo Papa dopo la morte del vecchio. Almeno in apparenza, i cardinali si tengono diligentemente fuori dal mondo moderno: ma esso è ancora lì, fuori dalle finestre e oltre le porte, costantemente percepito in tutto ciò che fanno.
Edward Berger ha diretto con enorme maestria questa pellicola di ambiente vaticano, che, sebbene abbia anche alcune caratteristiche da thriller, ricorda piuttosto Habemus papam di Nanni Moretti che Angeli e demoni di Ron Howard o Amen. (Il Vicario) di Costa-Gravas. Infatti, nonostante la presenza di intrighi politici a vari livelli e la tensione narrativa che riesce a creare una sorprendente suspense senza il minimo cenno di violenza, scene scabrose e altri ingredienti pruriginosi, il film si dipana soprattutto attraverso una serie di riflessioni ad alta voce e di approfondimenti psicologici, che lo rendono più coinvolgente del previsto. È un’opera meticolosamente studiata che esplora le tradizioni arcane e le stranezze uniche di questo rito cattolico. Ma il suo fascino risiede anche nella sua universalità. Alla fine, il film descrive la storia di una lotta per il potere che, se si tolgono gli zucchetti e le vesti, potrebbe svolgersi durante un’elezione politica – un fatto che non è sfuggito al pubblico americano (il film è uscito negli Stati Uniti a ottobre, in piene elezioni presidenziali). A ciò ha senza dubbio concorso il fatto che sia stato girato, con mezzi “hollywoodiani”, nei nostrani studi di Cinecittà e con attori prevalentemente europei, sicché l’atmosfera misteriosa e solenne del Vaticano, grazie a una meticolosa ricostruzione scenografica, viene perfettamente evocata. La Cappella Sistina, il Palazzo Barberini e la Domus Sanctae Marthae sono rappresentati con grande attenzione ai dettagli, riflettendo la mescolanza di tradizione e modernità che caratterizza l’architettura vaticana. Ma molto ha concorso anche la partecipazione, tra i produttori, di Robert Harris, il romanziere britannico autore dell’omonimo romanzo (2016) da cui il film è stato tratto (lo scrittore è noto altresì per il romanzo ucronico Fatherland – ambientato in un futuro dove ha vinto il Terzo Reich, sulla scia di The Man in the High Castle di Philip Dick – e per opere narrative anch’esse trasposte cinematograficamente, come Enigma, Imperium, The Ghost e L’ufficiale e la spia).
La storia prende il via con la morte improvvisa del pontefice, un evento che prelude automaticamente all’adunanza del Collegio cardinalizio, deputato ad eleggere il nuovo capo della Chiesa cattolica nella Cappella Sistina. Ralph Fiennes, nel ruolo del Cardinale Lawrence, cardinal decano o, più verosimilmente, segretario di Stato, guida magistralmente le complesse procedure, fornendo una delle migliori interpretazioni della sua carriera (nella quale si annoverano ruoli chiave in Schindler’s List, Il paziente inglese e nella saga di Harry Potter). Il contrasto tra ciò che il personaggio proietta in pubblico e ciò che lascia intendere in privato è immenso: combinando questi due estremi con una facilità e una naturalezza sconcertanti, l’attore ci offre una performance contraddistinta da sottigliezza, precisione accattivante e abile moderazione: sono pochi gli attori in grado di rivelare così tante sfaccettature con un solo accenno di sorriso. Dalla tristezza alla compassione, dal rimorso ai dubbi, Fiennes sa essere sia placido, sia intenso – a volte, in qualche modo, tutto insieme, emanando un apparente spirito di dolcezza e tolleranza. È un uomo profondamente combattuto che ammette, in un discorso iniziale all’interno del conclave, di apprezzare il dubbio e di aborrire la certezza (qualità non proprio adeguate a un custode dell’ortodossia della Chiesa, quale dovrebbe essere un cardinale di tale autorevolezza e autorità); eppure, a mano a mano che il film procede, diventa sempre più ossessionato dal controllo dei risultati del suo agire. E quanto più scopre informazioni sui candidati partendo da vari indizi, tanto più è costretto a infrangere le regole, avendo bisogno di fatti concreti piuttosto che di dicerie. Il cardinale ricorda un po’ Hercule Poirot nei panni del commissario Maigret: è un detective avvincente e inconfondibile, che opera in circostanze estreme mentre inizia perfino un’indesiderata scalata al potere, ottenendo voti che sostiene di non volere. Per certi versi, potrebbe anche ricordare frate Guglielmo da Baskerville nel Nome della rosa di Jean-Jacques Annaud, tratto dal romanzo di Umberto Eco. In effetti, Conclave, come Il nome della rosa, mette a nudo i meccanismi occulti della “macchina” dell’istituzione ecclesiastica, trasformandoli poi in motori di suspense. Entrambe le opere raggiungono un equilibrio sottile e raro tra erudizione e intrattenimento.
Come quello di Annaud, il film di Berger distilla informazioni dall’unico punto di vista del protagonista: il pubblico non ne sa più dell’eroe. Con lui, sospettiamo intrighi, complotti e tradimenti: tutti i peccati di venerabili uomini di chiesa che a volte vengono confessati, ma più spesso scoperti e poi negati.
Nel film gli aspetti cerimoniali sono presenti e accortamente dosati, al fine di conferirgli la gravità di un alto dramma. I rituali che circondano la morte del Papa sono descritti con la necessaria solennità: i nastri posti sulla sua porta e fissati con cera rossa fusa, i sigilli tagliati dai suoi anelli, le continue preghiere e i borbottii segreti – con solo un leggero accenno alla pura inutilità di tutto ciò. Ma per questi uomini significa qualcosa, e questo è sufficiente. Lo stesso vale per la lugubre danza del conclave stesso, con il suo giro di votazioni, ballottaggi, conteggi e silenziose riflessioni. Ma sembrano il preludio a un labirinto di sinistri intrighi e di segreti inconfessabili. L’elemento centrale che sostiene la narrazione è un oscuro segreto del papa da poco deceduto, capace di scuotere le fondamenta stesse della Chiesa.
A un certo punto si materializza la sola figura femminile di rilievo del film, ossia suor Agnes, interpretata da Isabella Rossellini, come responsabile delle monache che si occupano della casa pontificia. Apparentemente scialba e deferente, Agnes giocherà un ruolo essenziale: la Rossellini ha sostenuto di aver trovato il ruolo particolarmente intrigante in parte perché il suo personaggio è l’unica donna con una qualche autorità in un mare di uomini e in parte perché nel suo comportamento silenzioso (in realtà passivo-aggressivo) emergeranno poi molte cruciali informazioni. Tutto si complica per Lawrence quando arriva il cardinal Benitez (Carlos Diehz), che lui non conosce e che il papa precedente aveva segretamente insediato a Kabul, nominandolo in pectore. Secondo la legge vaticana, il cardinale di origine messicana può quindi partecipare al conclave.
I quattro candidati principali sono il riluttante candidato statunitense Aldo Bellini (Stanley Tucci), l’arci-conservatore e omofobo nigeriano Adeyemi (Lucian Msamati), il conservatore e potente canadese Tremblay (John Lithgow) e il tradizionalista Tedesco, nostalgico della Messa in latino e che vuole rimettere l’orologio della Chiesa ai tempi anteriori al Concilio Vaticano II. Dobbiamo confessare che l’interpretazione di Sergio Castellitto (che qui sembra l’erede di Nino Manfredi) nei panni del cardinale tradizionalista non ci ha convinti particolarmente: sembra più un vecchio brontolone diffidente delle novità, che parla italiano, inglese e latino con accento romanesco, che un vero restauratore della Chiesa preconciliare.
Nella prima votazione, nessun candidato ottiene la maggioranza dei due terzi richiesta. Nel frattempo, il mondo attende che dal camino della Cappella Sistina esca una fumata bianca e che venga annunciato il nuovo pontefice. Lawrence spera segretamente che il cardinale Bellini, più liberale e progressista, da sempre alleato dell’ex papa, diventi il nuovo pontefice, in modo da poter continuare la liberalizzazione della Chiesa e il suo impegno con il mondo. Di conseguenza, è alquanto critico nei confronti del candidato italiano tradizionalista perché a suo avviso potrebbe riportare la Chiesa indietro di decenni o più. Gli altri candidati non sono molto superiori. Il cardinale Adeyemi sarebbe certamente il primo Papa africano e nero della storia, ma le sue idee sociali sono quasi altrettanto “retrive” quanto quelle di Tedesco. Il cardinale del Québec, Tremblay, è invece un uomo assetato di potere, la cui ascesa al soglio pontificio potrebbe far ripiombare la Chiesa in un’epoca di scandali e corruzione.
All’inizio delle votazioni, Lawrence viene a sapere che Bellini non ha i voti per diventare papa. Ma nel corso del conclave, scopre anche perché gli altri candidati non sono adatti al ruolo. Adeyemi è in testa ai voti fino a quando non si scopre che decenni prima aveva avuto una relazione segreta con una suora allora diciannovenne, con conseguenze facilmente immaginabili. Tremblay sembra la prossima opzione probabile, fino a quando non viene smascherato come artefice di atti di ordinaria corruzione. Alla fine, sembra che la contesa finale contrapponga Tedesco e lo stesso Lawrence, ma un attacco terroristico spinge il cardinale tradizionalista a pronunciare un appassionato discorso contro la tolleranza verso l’Islam e a dichiarare una guerra religiosa: episodio che gli costa il sostegno di tutti i suoi difensori, tranne quelli più intransigenti.
In risposta allo sfogo di Tedesco, Benitez – che ha visto la vera guerra in prima persona – offre un contro-messaggio pacifista: non bisogna cedere all’odio, anche perché la chiesa non deve occuparsi della tradizione o del passato, ma di “ciò che facciamo dopo”. Queste dichiarazioni potrebbero suonare quasi come un piccolo manifesto elettorale del cardinale messicano, che alla fine viene eletto e sceglie come nome Innocenzo XIV. Ma un colpo di scena, relativo alla clinica in Svizzera dove Benitez si era recato per sottoporsi a un’operazione mai avvenuta (ed era stato l’ex papa a pagargli il biglietto aereo per la Svizzera), rischia di scompaginare tutto. Lawrence si confronta con il Papa appena eletto, che gli rivela la verità: l’operazione avrebbe dovuto riguardare una parte dell’anatomia di Benitez, in modo da fissare in modo non equivoco la sua identità sessuale. Inoltre, un confidente del defunto papa sostiene che il pontefice aveva chiesto le dimissioni di Tremblay poche ore prima della sua morte. L’epilogo si presenta in vesti sorprendenti, che mescolano tensioni progressiste (potremmo dire quasi woke), aspetti di identità di genere ed esigenze di rinnovamento della Chiesa.
Lawrence, che ha lottato contro i propri dubbi, alla fine approva: egli vuole un Papa che dubiti e possa anche peccare. Non a caso aveva pronunciato un’omelia un po’ improvvisata nella quale aveva sostenuto che “la certezza è nemica dell’unità e della tolleranza”. Tutto ciò era stato letto dalla maggior parte dei cardinali come una richiesta di eleggere un papa “liberale” e alla fine il conclave si conclude con un pontefice la cui identità di genere è, per quanto accidentalmente, un passo avanti radicale per la Chiesa.
L’elezione di Benitez a pontefice in mezzo alla caduta dei suoi confratelli riflette la realtà della complessità umana: non avrebbe mai potuto esserci un candidato a pontefice supremo senza difetti. Come dice uno degli alleati di Bellini, quando sostiene che i liberali dovrebbero coalizzarsi attorno al candidato meno criticabile: “noi serviamo un ideale; non possiamo essere sempre ideali”. Frase che riecheggia una sentenza del filosofo tedesco Max Scheler: “I filosofi morali sono come i cartelli stradali: indicano la via, ma non è che poi debbano anche seguirla”.
La sceneggiatura, firmata da Peter Straughan, è acuta e incisiva, perché riesce sapientemente a bilanciare il dramma umano e il thriller politico. Ogni personaggio si muove con motivazioni personali, creando un mosaico complesso di ambizioni, dubbi morali e compromessi.
Il cast internazionale è uno dei punti di forza del film. Accanto a Fiennes, spiccano Stanley Tucci nel ruolo del progressista Cardinal Bellini e John Lithgow in quello del conservatore Tremblay. La loro rivalità, intrisa di tensione ideologica e personale, rappresenta il dualismo tra tradizione e modernità all’interno della Chiesa. Sergio Castellitto, nel ruolo del Cardinale Tedesco, aggiunge una nota di ironica arroganza, benché ci abbia convinto fino a un certo punto, come abbiamo prima osservato; mentre Lucian Msamati, nei panni di Adeyemi, incarna il sogno di un primo papa africano. La presenza di Isabella Rossellini come Suor Agnes, unica figura femminile di rilievo, sottolinea per contrasto il patriarcato radicato dell’istituzione. Un po’ scialba anche l’interpretazione del cardinal Benitez (Carlos Diehz) che pure giocherà alla fine del film un ruolo tanto importante quanto insospettato.
Notevole è anche il sapiente uso della macchina da presa: un’inquadratura dall’alto dei cardinali sotto la pioggia, ognuno al riparo sotto un ombrello bianco di produzione vaticana, evoca spiritosamente una schiera di angeli legati alla terra. Ma è dal modo in cui Fiennes viene inquadrato che apprendiamo di più: Berger posiziona spesso la cinecamera leggermente sopra di lui, un’angolazione che approfondisce i solchi tormentati della sua fronte e pesa ulteriormente sulla sua testa abbassata. La fotografia di Stéphane Fontaine e la colonna sonora di Volker Bertelmann completano il quadro, conferendo al film un’aura al tempo stesso maestosa e intima. L’uso di strumenti non convenzionali, come il Cristal Baschet, sottolinea il conflitto interiore del cardinal Lawrence, il vero protagonista, creando un parallelismo tra la musica e la narrazione.
Conclave non è solo un thriller avvincente; è anche una riflessione sulla fede, sulla crisi spirituale e sulla necessità di cambiamento in un’istituzione millenaria: checché ne abbiano detto alcuni recensori iperconservatori, non è né un film anticattolico, né un film contro la fede, né un film blasfemo o irriverente. Anche perché ha probabilmente avuto un certo avallo da parte delle gerarchie vaticane, come testimonierebbe la presenza discreta, tra il pubblico dell’anteprima, di un autorevole cardinale, già professore di filosofia alla Pontificia università lateranense. Il Cardinal Lawrence, con i suoi dubbi esistenziali, rappresenta la lotta per ritrovare uno scopo in un mondo in cui la spiritualità si intreccia inestricabilmente con l’etica del potere. Il finale, controverso e aperto a molteplici interpretazioni, lascia il pubblico con interrogativi profondi sull’integrità e sull’evoluzione della Chiesa.
Non spetta a noi decidere se il finale del film sia offensivo o no; in ogni caso, Conclave non prende esattamente posizione sulla dottrina cattolica. Se il film ha un messaggio, non riguarda tanto la Chiesa quanto l’inevitabilità del progresso.
Titolo completo:
Conclave
Lingue originali: inglese, italiano, latino, spagnolo
Paese di produzione: Regno Unito, Stati Uniti d'America
Anno: 2024
Durata: 120 minuti
Genere: thriller, drammatico
Regia: Edward Berger
Soggetto: Robert Harris (dal romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Peter Straughan
Produttore: Alice Dawson, Robert Harris, Juliette Howell, Michael Jackman, Tessa Ross
Produttore esecutivo: Ralph Fiennes, Tomas Alfredson, Glen Basner, Edward Berger, Ben Browning, Alison Cohen, Danny Cohen, Harry Dixon, Zoë Edwards, Lorenzo Gangarossa, Mario Gianani, Milan Popelka, Steven Rales, Paul Randle, Robyn Slovo, Peter Straughan
Casa di produzione: FilmNation Entertainment, House Productions, Access Entertainment, Wildside, Indian Paintbursh
Distribuzione in italiano: Eagle Pictures
Fotografia: Stéphane Fontaine
Montaggio: Nick Emerson
Musiche: Volker Bertelmann
Scenografia: Suzie Davies
Costumi:Lisy Christl
Interpreti e personaggi
Ralph Fiennes: cardinale Thomas Lawrence
Stanley Tucci: cardinale Bellini
John Lithgow: cardinale Tremblay
Sergio Castellitto: cardinale Tedesco
Isabella Rossellini: sorella Agnes
Lucian Msamati: cardinale Adeyemi
Carlos Diehz: cardinale Benitez
Loris Loddi: cardinale Villanueva
Vincenzo Failla: cardinale Guttoso
Brían F. O'Byrne: monsignor Raymond O'Malley
Merab Ninidze: cardinale Sabbadin
Thomas Loibl: arcivescovo Mandorff
Jacek Koman: arcivescovo Wozniak
Matteo Maiucchi: cardinale corista Matteo Maiucchi
Uscita al cinema 19 dicembre 2024