In un’epoca in cui la comunicazione è spesso gridata, distorta, o ridotta a slogan, Gianrico Carofiglio torna a ricordarci che le parole non sono mai neutre. Con parole precise. Manuale di autodifesa civile (Feltrinelli) è molto più di un saggio sul linguaggio, è un invito al risveglio critico, una bussola per orientarsi tra le nebbie della retorica e della manipolazione verbale.
“Dare il nome giusto alle cose può essere un gesto rivoluzionario”, scrive l’autore, che costruisce il libro come un laboratorio di consapevolezza linguistica. Ogni capitolo è un passo dentro l’officina delle parole, quelle che illuminano e quelle che ingannano, con l’obiettivo di restituire senso, responsabilità e precisione al discorso pubblico.
Carofiglio non parla solo ai giuristi o agli intellettuali, il suo è un appello civile. L’uso delle parole, suggerisce, non è un dettaglio stilistico, ma un atto politico e morale. Laddove la lingua si degrada, si degrada anche la democrazia. Attraverso esempi che spaziano dai comizi di Donald Trump alle derive dell’hate speech, dalle metafore tossiche della propaganda alle zone grigie del linguaggio giuridico, l’autore mostra come le parole possano essere strumenti di oppressione o di libertà.
La chiarezza diventa così una forma di resistenza. Difendersi dalla confusione, dalla retorica violenta e dalla mistificazione significa, per Carofiglio, esercitare la propria libertà di pensiero. È questo il cuore del suo “manuale di autodifesa civile”, un esercizio di etica e precisione, un invito a non cedere all’ipnosi della lingua corrotta, a riconoscere le manipolazioni del potere e a rispondere con lucidità e rigore.
Con uno stile che coniuga l’eleganza narrativa del romanziere e l’argomentazione dell’ex magistrato, Carofiglio ci offre un libro necessario, che restituisce dignità al linguaggio e, con esso, alla cittadinanza. Perché la qualità delle parole, ci ricorda, è la qualità della nostra democrazia.