Burning Buzz

Chiacchiere e distintivo

di Barbara Leone
 
Chiacchiere e distintivo
Eccoci giunti a Carnevale: festa di colori, di maschere, di coriandoli e, soprattutto, di profumi inebrianti che un tempo si sprigionavano dalle cucine delle nonne, vere alchimiste del fritto. Con quel tintinnio di stoviglie, l’eco delle risate e la magia di un impasto semplice che prendeva vita sotto le mani sapienti di chi, con amore, tramandava un sapere antico. E così, tra una spolverata di farina e un bicchierino di liquore “per l’impasto” (e magari uno anche per la nonna, perché ci vuole energia), nascevano loro: le chiacchiere. Sottili, friabili, leggere come un sospiro d’amore eppure capaci di conquistare generazioni con il loro irresistibile abbraccio zuccherino. Una tradizione antica e genuina, fatta di ingredienti poveri e di ricette che si tramandano come segreti di famiglia. Chiacchiere, frappe, bugie, cenci, crostoli: mille nomi per un unico dolce che unisce il Paese da Nord a Sud. Ma oggi, nel mondo dell’alta pasticceria, anche le chiacchiere hanno scoperto l’ebbrezza del jet set e si sono ritrovate catapultate nei salotti dell’élite gastronomica, con prezzi da collezione e polemiche degne di un thriller finanziario.

La cronaca recente ci offre un caso emblematico di come un semplice dolce carnevalesco possa trasformarsi in oggetto del desiderio (o dell’indignazione): le chiacchiere di Iginio Massari, maestro della pasticceria italiana e genio del marketing applicato al dessert. Prezzo al chilo? Cento euro. Cento euro per un chilo d’aria fritta e zuccherata. Mentre lo scorso anno stavano “solo”  a ottanta: un aumento del 25%, che farebbe impallidire perfino le speculazioni del mercato immobiliare. La domanda sorge spontanea: perché? Cosa giustifica un simile prezzo? Ingredienti rari? Oro alimentare nell’impasto? Farina di meteorite? Nulla di tutto ciò. Le chiacchiere di Massari, per quanto perfette e impeccabili, restano esattamente quello che sono: chiacchiere. Eppure, il web è insorto indignato, travolto dalla furia della giustizia culinaria, con orde di utenti pronti a brandire il mattarello della moralità contro il pasticcere bresciano. E qui sorge un’altra domanda spontanea: ma davvero  crediamo che il signor Massari si aspetti di vendere a tutti le sue chiacchiere? Davvero pensiamo che dietro quel prezzo ci sia un tentativo di spennare il consumatore ignaro? Niente affatto. Massari non vende semplici dolci: vende status, vende un’esperienza, vende l’appartenenza a un’élite che può permettersi di pagare cento euro per un chilo di frappe. Non stai pagando le chiacchiere: stai pagando la possibilità di dire che hai comprato le chiacchiere di Massari. E questa, signori, è la quintessenza del lusso. Funziona così per le borse di Louis Vuitton, per le auto Ferrari e per le gonne di Balenciaga che sembrano ricavate da asciugamani della Lidl. Non paghi il prodotto, paghi il simbolo. Se domani Massari decidesse di vendere le sue chiacchiere a 110 euro al chilo, probabilmente si venderebbero ancora meglio, perché il prezzo stesso diventerebbe un distintivo di esclusività.

Il paradosso è che, mentre tutti si indignano, il meccanismo si alimenta da solo. Ogni post furioso, ogni condivisione di protesta, ogni commento sarcastico sul prezzo esorbitante non fanno altro che amplificare l’eco mediatica della vicenda. Il risultato? Pubblicità gratuita per Massari, un rafforzamento del suo brand e, inevitabilmente, l’ispirazione per qualche altro grande chef a replicare la strategia con un nuovo prodotto. È il capitalismo, bellezza. E alla fine, è anche una questione di gusti. Prendiamo i romani, per esempio. Ogni anno, a Carnevale, affrontano traffico e lunghe attese per raggiungere una piccola bottega di Ostia, aperta solo due mesi all'anno, che produce esclusivamente chiacchiere – o meglio, frappe, come le chiamiamo qui. Ne sfornano quintali, come se non ci fosse un domani. E il prezzo? Circa un euro a frappa. Eppure, la fila è interminabile, anche sotto la pioggia o il freddo. La gente aspetta, paga e ne esce felice. E allora, perché Iginio Massari non dovrebbe vendere le sue chiacchiere a cento euro al chilo? Il prezzo non è un dogma imposto dall’alto: è il mercato a definirlo. Se c’è chi compra, vuol dire che c’è chi è disposto a pagare. E se non vuoi spendere quella cifra, nessuno ti obbliga.

La verità è che certe indignazioni hanno qualcosa di patetico. Gridare allo scandalo perché un dolce che si trova ovunque viene venduto a prezzo proibitivo ha lo stesso senso di indignarsi perché una bottiglia di vino pregiato costa più del Tavernello. Certo, ci sono beni di prima necessità su cui sarebbe giusto mettere un tetto ai prezzi – frutta, verdura, pane, carne – ma le chiacchiere? Nessuno rischia la denutrizione se non può permettersi le frappe di Massari. Quindi, cari scandalizzati, se vi sentite presi in giro dal prezzo, fate la cosa più semplice del mondo: ignoratelo. Il libero mercato ha una regola infallibile: se nessuno compra, il prezzo scende. Ma se le chiacchiere da cento euro si vendono, vuol dire che hanno trovato il loro pubblico. E non c’è nulla di più ironico del fatto che, nel commentare e condividere indignati, stiate contribuendo al successo di questa strategia. Morale della favola? Forse dovremmo prenderci meno sul serio. Dopotutto, è Carnevale. E in fondo, di cosa stiamo parlando? Di chiacchiere, e niente più.
  • villa mafalda 300x600
  • PP evolution boost estivo giugno 2024
Rimani sempre aggiornato sulle notizie di tuo interesse iscrivendoti alla nostra Newsletter
Notizie dello stesso argomento
L'ennesima puntata della soap Sussex: Harry, la beneficenza e il dramma shakespeariano in Africa
31/03/2025
di Barbara Leone
L'ennesima puntata della soap Sussex: Harry, la beneficenza e il dramma shakespeariano in ...
La dolce stupidità
28/03/2025
Barbara Leone
La dolce stupidità
7 giorni da star con George e Amal: un lusso da 160mila dollari
27/03/2025
di Barbara Bizzarri
7 giorni da star con George e Amal: un lusso da 160mila dollari
Ma quale Ucraina, quale Gaza: il problema di Trump è un brutto quadro
25/03/2025
di Barbara Leone
Ma quale Ucraina, quale Gaza: il problema di Trump è un brutto quadro