Attualità
Caso Ghiglia-Report, il confine sottile tra privacy e diritto di cronaca
di Diego Minuti

Qual è il sottile confine che divide il diritto di cronaca - e, quindi, di informare la gente - da quello che tutela la privacy? In un Paese diverso dall'Italia non ci sarebbe storia, facendo prevalere l'interesse generale su quello particolare, sempre che vengano fatte salve le garanzie sulla tutela di informazioni riservate o che sono state carpite con atti illeciti.
Non stiamo disquisendo del più o del meno, davanti ad una tazza di caffè o sorbendo un aperitivo, ma parliamo del ''caso Agostino Ghiglia'', il componente l'autority per la privacy, nominato in quota Fratelli d'Italia e con un passato di attivista di destra, che ha diffidato Report dal rendere noto il contenuto di alcune sue mail. Che lui definisce private, ma che per Report - trattandosi di comunicazioni fatte su mail interne agli uffici e che riguardano fatti politicamente (ma forse anche altro) rilevanti - si possono rendere note, per dare alla gente il modo di giudicare.
Ghiglia ha tentato invano di bloccare la messa in onda, ieri sera, di Report con una diffida in cui sostiene che le conversazioni, riferite dalla trasmissione di Ranucci, non potessero essere rese pubbliche perché private. Una diffida che non ha avuto effetti pratici, dal momento che la trasmissione è andata regolarmente in onda. E per ''regolarmente'' intendiamo dire che Report alla diffida non ha dato nessunissimo peso.
Torniamo quindi al solito dilemma: un personaggio pubblico può dirsi tutelato dal diritto alla privacy se il tenore delle sue conversazioni (in questo caso, per mail) concernono casi di rilevanza politica oppure ne è, per così dire, scansato sotto la spinta dell'opinione pubblica, che deve essere informata per formarsi un giudizio?
Di certo c'è che la reazione di Agostino Ghiglia è stata scomposta, dando l'immagine del canone usuale seguito da chi sta dentro la stanze, stanzette e sgabuzzini del potere, perché dire che non si possono pubblicare conversazioni perché rubate non dà il senso della questione fondamentale: un personaggio pubblico, in ogni suo atto o atteggiamento, deve rispettare i cardini legati alla propria figura.
Non è quindi, come la moglie di Cesare, su cui non alimentare anche il minimo sospetto. Di lui (un ''lui'' generico) quando assume un ruolo pubblico, si può parlare se, in taluni suoi atti o come in questo caso parole, si ravvisa qualcosa di cui possa essere di interesse pubblico conoscere i contenuti.
Cosa è quindi più importante?
Tutelare la privacy di un componente l'autorità di garanzia della riservatezza?
Oppure dire che, contrariamente a quanto ha sino ad ora sostenuto, lui si sia recato, nella sede di Fratelli d'Italia, alla vigila della riunione della commissione che ha bastonato con una multa pesantissima Report (per il caso della infuocata liason Sangiuliano-Boccia, con tanto di sfregio alla pelata del ministro della Cultura dell'epoca), per incontrare Arianna Meloni, e non Italo Bocchino, come da versione ufficiale? E il nome di chi avrebbe incontrato non lo avrebbe comunicato all'edicolante o al suo autista, ma ai suoi collaboratori.
E' la celebrazione dell'ipocrisia, perché tutti sanno che Ghiglia è legato mani e piedi a FdI, che lo ha nominato, e dire che il suo comportamento non risenta di questo legame è cercare di prendere in giro la gente, ma solo quella che legge certa stampa e quindi non si ferma davanti a versioni di comodo o, chiedendo scusa per la cacofonia, accomodate o accomodanti.
Ma quello che bisogna censurare è l'esercizio degli strumenti dati dalla legge per fermare l'informazione che non può essere gradita o sgradita a seconda se parli bene o male del diretto interessato. L'informazione deve essere libera, con i limiti che la legge impone a tutti. Ribadiamo, a tutti.
Forse nei comportamenti di Ghiglia tutto è andato correttamente in termini di rispetto della legge, ma di certo l'esercizio della censura preventiva dovrebbe essere bandito per chi, da componente un organismo pubblico e per di più di nomina politica, deve tenere comportamenti al di sopra di ogni sospetto, anche non penalmente rilevanti, quindi nella consapevolezza di essere sempre ''a rischio'' intrusioni dall'esterno. Insomma, se ci si siede su una poltrona del Palazzo, si deve sapere che, tra mille ammennicoli del potere e del suo esercizio, ci sono piccoli possibili inciampi, come quello di essere al centro di indagini giornalistiche.
L'attivismo di Ghiglia in faccende che riguardano direttamente o meno esponenti di Fratelli d'Italia denunciato da Report non disvela nulla di nuovo, perché è parte integrante di chi ritiene che la politica possa essere usata a senso unico. La domanda, quindi, non è se Report ha o aveva il diritto di pubblicare la conversazioni di Ghiglia - se sono state violate leggi o norme se ne potrebbe occupare, se investita ufficialmente, l'autorità giudiziaria - , quanto se lui, Ghiglia, nell'esercizio del suo ruolo, abbia tutelato l'interesse pubblico oppure abbia brigato per fare valere la sua posizione a favore di qualche amico politico.
Questo è il vero interrogativo. Che non è solo retorica, ma resta alla base di un principio che, almeno sino ad oggi, ha garantito questo Paese: il diritto ad esprimersi e anche a criticare, ma con i limiti di legge.
Ma se si cerca di mettere la museruola preventivamente solo agli avversari politici, beh...allora significa ''solo'' che si fa un uso spregiudicato delle proprie prerogative. E questo sì che è un problema, per il Paese e per la forma democratica che si è data, quando i Padri costituenti, vollero riconosce a tutti i medesimi diritti. Quelli che forse Ghiglia vuole negare, ma solo a chi parla male di lui.