Economia

Autostrade, la beffa di Capodanno. L'inflazione garantita alle spalle del Paese

di Redazione
 
Autostrade, la beffa di Capodanno. L'inflazione garantita alle spalle del Paese

L’anno nuovo porta in dote il solito, sgradito regalo per gli automobilisti e, soprattutto, per il settore dell’autotrasporto: l’aumento dei pedaggi. Dal 1° gennaio 2026, la rete autostradale italiana vedrà un rincaro generalizzato dell'1,5%, cifra che sale all’1,92% per la Salerno-Pompei-Napoli.

La nota ufficiale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) tenta di smarcarsi politicamente, puntando il dito contro la Corte Costituzionale. Secondo il dicastero guidato da Matteo Salvini, sarebbe stata la Consulta a "vanificare lo sforzo" del Governo di congelare le tariffe. Tuttavia, dietro lo scontro istituzionale tra politica e magistratura, si cela una realtà finanziaria molto più profonda e inquietante: l'intangibilità delle rendite di posizione nel settore delle concessioni.

Autostrade rincari da gennaio 2026

Il rincaro dell’1,5% non è una scelta politica, ma l’applicazione automatica dell’indice di inflazione programmata. La sentenza della Consulta di ottobre scorso non ha fatto altro che ribadire un principio che i mercati conoscono bene: i Piani Economico-Finanziari (PEF) sono contratti di diritto privato protetti dalla Costituzione (articoli 3, 41 e 97).

Il problema non è la sentenza in sé, ma la struttura di questi accordi. In Italia, le autostrade restano uno dei pochi settori dove il "rischio d'impresa" sembra essere un concetto teorico. Se l'inflazione sale, il pedaggio aumenta; se il traffico diminuisce, spesso si interviene con estensioni della concessione o ulteriori rincari per "riequilibrare" il piano. È un sistema asimmetrico dove i profitti sono privati e i costi (o i mancati risparmi) sono sistematicamente a carico dell'utenza.

Il comunicato del MIT cita il caso dell’Autostrada del Brennero (A22): un aumento dell’1,46% nonostante la concessione sia scaduta e si sia in attesa di un riaffidamento che sembra non arrivare mai. È l'emblema di un’Italia a due velocità: rapidissima nell'aggiornare i costi per i cittadini, lentissima nel riformare le gare e rimettere a mercato asset strategici.

Mentre le società Concessioni del Tirreno e Strada dei Parchi restano (per ora) al palo grazie a specifici atti convenzionali, il resto della rete continua a operare in un regime di monopolio naturale dove l'efficienza gestionale non si traduce quasi mai in una riduzione del costo per il cliente finale.

Finché i pedaggi rimarranno legati a automatismi inflattivi e non a rigorosi indicatori di performance e di effettivo completamento degli investimenti, l'autostrada rimarrà un bancomat per i gestori e un costo insostenibile per il sistema produttivo.
 
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