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Ucciso con un’esca piena di chiodi: addio a Bruno, cane da salvataggio

Redazione
 
Ucciso con un’esca piena di chiodi: addio a Bruno, cane da salvataggio

Un würstel pieno di chiodi: è questo l’infame premio riservato a Bruno, un cane da salvataggio, dopo una vita spesa a cercare dispersi, a fiutare speranza tra le macerie, a riportare figli e padri a casa. Era un bloodhound molecolare, un eroe a quattro zampe, e così è morto: tradito proprio da quell’umanità che aveva scelto di servire. È accaduto venerdì, all’alba, in silenzio. In quel silenzio vile che accompagna gli atti più spregevoli. Bruno è stato trovato riverso in una pozza di sangue nel suo box, all’interno del centro cinofilo Endas, alle porte di Taranto.

Ucciso con un’esca piena di chiodi: addio a Bruno, cane da salvataggio

Il suo addestratore, Arcangelo Caressa, ha aperto il cancello come ogni mattina, pronto per un’altra giornata di lavoro. Ma ad attenderlo non c’era la solita festa, la coda che sbatte sulle gambe, gli occhi vivaci e pronti a partire. No. Ad attenderlo c’era l’orrore. Bruno era morto. E non di morte naturale, né per un destino cieco. Era stato ucciso. Avvelenato con bocconi di carne riempiti di chiodi. Una morte lenta, dolorosa, vigliacca. L’agguato è arrivato da una mano ignota, che ha lanciato i wurstel oltre il cancello, consapevole.

Premeditato. Disumano. Caressa, devastato, ha scritto sui social: «Oggi sono morto insieme a te. Lo avete ucciso facendolo soffrire per ore. Hai lottato per una vita intera per aiutare l’essere umano, e lo stesso umano ti ha fatto questo». Parole intrise di dolore, di rabbia, di una disperazione che non si può arginare. Perché Bruno non era solo un cane. Era un compagno, un collega, un amico. Era l’anima di una missione, quella che porta chi ama gli animali a credere che si possa salvare il mondo, un pezzetto alla volta. E Bruno, quel mondo, l’aveva davvero salvato. Nove persone gli devono la vita. Nove famiglie gli devono il ritorno di chi amavano. Lo chiamavano da tutta Italia per le ricerche, perché Bruno sapeva fare ciò che pochi altri sanno: trovare l’impossibile, leggere gli odori del dolore, fiutare la traccia dell’assenza.

Era stato premiato anche dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che oggi scrive: «Un atto vile, codardo, inaccettabile. Grazie per tutto ciò che hai fatto, Bruno». Anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha voluto esprimere la sua vicinanza: «Atto barbaro e incivile. Mi auguro si faccia piena luce». Ma è l’Italia intera che si stringe attorno al dolore di un uomo e alla memoria di un cane, anche se ora ciò che resta è solo un vuoto immenso, e che non si può colmare.

Bruno era stato addestrato in Svizzera, veniva dal Belgio. Non era nato eroe: lo era diventato, giorno dopo giorno, annusando la paura e trasformandola in salvezza. Con pazienza, dedizione, coraggio. Ora, proprio lui, che combatteva l’abisso, è stato inghiottito da quell’abisso. Per mano di chi? Di qualcuno infastidito dalle attività del centro? Da chi vede nei cani solo degli esseri fastidiosi, o magari strumenti da  usare nei combattimenti clandestini? L’ipotesi fa male, ma è reale. Come reale è l'invidia che a volte si scatena contro chi fa il bene.

«È una questione di cattiveria e invidia», dice Caressa. E il cuore si stringe. Michela Vittoria Brambilla, promotrice della nuova legge contro il maltrattamento animale entrata in vigore proprio in questi giorni, invoca giustizia: «Un'esca riempita di chiodi gli ha dato una morte orrenda, lunga e dolorosissima, proprio a lui che aveva salvato tante vite. C’è da vergognarsi di appartenere alla razza umana». Parole forti, eppure così vere. Se sarà individuato il responsabile, sarà il primo caso in cui la legge potrà applicarsi. Quattro anni di carcere, sessantamila euro di multa. Ma nulla potrà restituire Bruno a chi lo amava. Nulla. Resta solo una foto, quella che la premier ha postato sui social: lei accanto a Bruno, con la mano che accarezza la sua testa. Resta lo sguardo fiero di un cane che non chiedeva altro che servire, essere utile, aiutare. Resta un uomo, Arcangelo, che si è ritrovato solo, svuotato. E resta un Paese che per un giorno piange, si indigna.

Ma domani? Domani chi difenderà i cani che non hanno medaglie? Chi proteggerà quelli che non finiscono sui giornali ma che amano, ogni giorno, senza condizioni? Chi alzerà la voce per dire che no, non è normale, non è accettabile, non è umano? Bruno è morto per una causa che nessun animale dovrebbe mai pagare: la crudeltà degli uomini. E ora, se davvero vogliamo rendergli onore, facciamolo non con un post, ma con un impegno. Che la sua morte non sia vana. Che la sua assenza pesi come un macigno sulle coscienze. Che chi lo ha ucciso non possa mai più guardarsi allo specchio senza vedere nei propri occhi il riflesso di una bestia. Ma non di un cane. Di un essere umano. Perché Bruno era migliore di tanti uomini. E forse è questo che qualcuno non gli ha mai perdonato.

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