Cinema & Co.

"The Woman in the Window" di Fritz Lang. Un classico del noir tra realtà e apparenza

di Teodosio Orlando
 

Fritz Lang, maestro del cinema espressionista tedesco e pioniere del noir hollywoodiano, nel 1944 dirige The Woman in the Window (La donna del ritratto), un capolavoro che combina sapientemente psicoanalisi, paranoia sociale e il tema ricorrente del destino come una sorta di macchina inesorabile. Lo abbiamo rivisto domenica 22 dicembre 2024 in un’edizione restaurata, in originale e con i sottotitoli, nell’ambito della rassegna “L’eterna illusione. Il noir americano dal 1941 al 1957”, curata da Cesare Petrillo e Simone Fabio Ghidoni, che riporta sul grande schermo del cinema Quattro Fontane di Roma quaranta capolavori del cinema hollywoodiano. Il noir hollywoodiano ebbe il suo fulgore negli immediati anni prebellici e postbellici, quando il cinema aveva ormai deposto quell’atmosfera di ingenua innocenza e di ottimismo che avevano caratterizzato gli anni del New Deal. 

Rimane molto complicato definire precisamente il profilo del noir: ad esempio, è fondamentale la presenza di elementi criminosi, ma di solito i film di Hitchcock, dove pure il crimine è essenziale, non vengono classificati come noir. La presenza di un detective e il ruolo della femme fatale sono anch’essi essenziali, ma nel film Asphalt Jungle di John Huston mancano entrambi. 

Forse il vero elemento caratterizzante è il sentimento ineluttabile di tragedia che pervade qualsiasi noir degno di questo nome: si avverte costantemente che qualcosa di terribile sta per accadere sullo schermo, senza nessuna via di fuga. Sotto il dominio di crudeltà, cinismo, malvagità, sadismo e avidità, si attende che venga commesso un delitto, sicché le vite dei personaggi saranno per sempre oberate dal dolore e dalla morte.

The Woman in the Window è un’opera che combina felicemente maestria visiva e complessità psicologica, rappresentando così una delle più alte espressioni del cinema noir americano, benché il regista fosse di origine austriaca e fosse approdato negli USA negli anni cupi del Terzo Reich. Il film non solo rappresenta un classico del genere, ma incorpora anche una riflessione complessa sul desiderio, sull’illusione e sulla colpa, inscritte in una struttura narrativa che gioca con i concetti di sogno e realtà. Il copione si basa sul romanzo Once Off Guard di James Harold Wallis, e racconta la storia del professor Richard Wanley, un uomo di mezza età la cui vita ordinata viene sconvolta dall’incontro con una donna misteriosa e dal successivo coinvolgimento in un omicidio accidentale. Lang esplora magistralmente il tema della condizione dell’individuo intrappolato in meccanismi più grandi di lui, attingendo a una ricca tradizione letteraria e cinematografica. L’immagine iniziale del ritratto di una donna in una vetrina richiama immediatamente The Oval Portrait di Edgar Allan Poe, racconto in cui l’arte e la vita si confondono, creando un senso di inquietudine e fatalità (rievoca anche il racconto, ispirato a leggende cinesi, Das alte Bild [Il vecchio quadro], dello scrittore tedesco Paul Ernst). Inoltre, la struttura onirica e la rivelazione finale (dove l’intera vicenda viene consegnata alla dimensione del sogno) riecheggiano il celebre Das Cabinet des Dr. Caligari di Robert Wiene (1920), un classico dell’espressionismo tedesco che Lang stesso ha riconosciuto come influenza indiretta.

Sul piano cinematografico, The Woman in the Window si inserisce in una tradizione di film che esplorano il voyeurismo e la psiche maschile. Il rapporto tra l’osservatore e l’oggetto del desiderio è centrale nel film, con richiami a M - Il mostro di Düsseldorf (1931), sempre di Lang, e alla sua analisi della colpa e dell’alienazione. La vetrina che separa il professor Wanley dal ritratto di una donna è un potente simbolo della distanza tra soggetto e oggetto, una metafora che attraversa tutto il cinema del regista austro-americano.

La storia segue il professor Richard Wanley, un uomo di mezza età che, nella sua routine regolata e priva di eventi, si imbatte nel ritratto di una donna misteriosa esposto in una vetrina. Questo incontro casuale lo trasporta irresistibilmente in un’avventura che culmina in un omicidio e nella lotta per nascondere le tracce del crimine. La donna in questione, Alice, interpretata da Joan Bennett, è allo stesso tempo una figura reale e la proiezione del desiderio maschile. La sua ambiguità diventa il cuore pulsante del film.
Il protagonista, interpretato magistralmente da Edward G. Robinson, rappresenta un “uomo qualunque” intrappolato nelle sue stesse convenzioni sociali. Lang dipinge Wanley come un esempio del cosiddetto “ultimo uomo” (Der letzte Mensch/The Last Man) di Nietzsche, un individuo rassegnato alla monotonia della vita, che si ribella solo per essere rapidamente sopraffatto dalle conseguenze delle sue azioni: è il compimento del nichilismo, una figura decadente intrappolata nelle convenzioni sociali e nel proprio senso di impotenza (in questo più rassegnato del protagonista dell’Uomo senza qualità di Robert Musil, con cui non va confuso). La sua ribellione, catalizzata dall’incontro con Alice, è tanto inevitabile quanto autodistruttiva.

Lang utilizza la psicoanalisi come chiave interpretativa per il comportamento dei personaggi. Il sogno di Wanley non è solo un espediente narrativo, ma un viaggio nell’inconscio, in cui i desideri repressi e i sensi di colpa emergono in forma drammatica. Gli oggetti simbolici, come le forbici che verranno usate a mo’ di arma e la penna lasciata nell’appartamento di Alice, incarnano il concetto freudiano del “ritorno del rimosso”. Questi oggetti non solo costruiscono la tensione narrativa, ma rivelano anche l’impossibilità di sfuggire al senso di colpa. Essi alludono a ciò che viene condannato dalla società o che provoca repulsione: come aveva messo in luce il grande critico Francesco Orlando, questi elementi tendono a ripresentarsi soprattutto  nelle opere letterarie che giocano con il concetto di soprannaturale. E, potremmo qui dire, anche nelle opere cinematografiche. 


Lang esplora il desiderio maschile come un processo di proiezione, catturando il conflitto tra l’idealizzazione e la realtà del femminile. La vetrina che separa il professor Wanley dal ritratto – e poi dalla donna stessa – diventa un simbolo potente della distanza tra il soggetto e l’oggetto del desiderio. Come suggerisce il materiale di riferimento, la cornice stessa del quadro e la finestra del negozio separano e allo stesso tempo collegano due mondi: il reale e l’immaginario. Lang guida lo spettatore attraverso una dimensione onirica che sfida la distinzione tra questi due mondi: non solo spinge lo spettatore in una dimensione alternativa, ma solleva interessanti questioni sull’autonomia dell’individuo rispetto ai propri desideri repressi.

Joan Bennett, nel ruolo di Alice, è al centro del film non solo come figura narrativa, ma anche come simbolo del desiderio maschile. La sua rappresentazione oscilla tra l’essere una donna reale e una proiezione idealizzata, incarnando l’ambiguità del femminile nel noir. La sua immagine nel ritratto, intrappolata in una cornice, riflette la condizione della donna come oggetto del desiderio maschile, ma il suo personaggio va oltre questa limitazione, mostrando un’umanità complessa e sfuggente.

Lang, con The Woman in the Window, affronta anche il tema del voyeurismo, non solo come fenomeno psicologico, ma come essenza stessa dell’esperienza cinematografica. La cinepresa segue Bennett con la stessa ossessione del professor Wanley, stabilendo una corrispondenza tra lo sguardo del protagonista e quello dello spettatore. Questo dispositivo non è privo di autoconsapevolezza: Lang, infatti, sottolinea il carattere artificiale del medium cinematografico attraverso l’uso di cornici visive, specchi e riflessi. Il film invita lo spettatore a interrogarsi sul proprio rapporto con le immagini: fino a che punto il nostro sguardo è intrappolato in una rete di desideri e proiezioni?
Dal punto di vista tecnico, Lang dimostra il suo genio visivo attraverso un uso magistrale della luce e della composizione. La collaborazione con il direttore della fotografia Milton Krasner permette al film di raggiungere una perfezione formale, in cui ogni inquadratura è curata nei minimi dettagli per amplificare la tensione drammatica. L’uso delle ombre e della luce, orchestrato da Krasner, crea un’atmosfera claustrofobica che amplifica il senso di inevitabilità e quasi predestinazione. È un esempio straordinario di come Lang abbia adattato i principi dell’espressionismo tedesco al contesto hollywoodiano. Le composizioni visive sono studiate nei minimi dettagli, trasformando ogni inquadratura in un’opera d’arte.

Lang manipola abilmente le aspettative del pubblico attraverso il montaggio e la narrazione. La sequenza finale, in cui il sogno si dissolve nella realtà, è un esempio di virtuosismo tecnico che riflette la complessità tematica del film. Il regista sfrutta l’ambiguità della storia per esplorare i confini tra verità e finzione, lasciando lo spettatore in uno stato di incertezza. Potremmo anche dire che l’ambiguità dell’epilogo è non solo una concessione alle regole della censura dell’epoca, ma anche un commento metanarrativo sulla natura del cinema come mezzo per esplorare sogni e incubi. Inoltre, come ha osservato il filosofo Gilles Deleuze, «per Lang si direbbe non esista più verità, ma esistano solo apparenze. Il Lang americano diventa il più grande cineasta delle apparenze, delle false immagini […]. L’apparenza è infatti ciò che si tradisce da sé; i grandi momenti in Lang sono quelli in cui un personaggio si tradisce. Le apparenze si tradiscono, non perché lascerebbero il posto a una verità più profonda, ma semplicemente perché si rivelano esse stesse come non-vere: il personaggio fa una gaffe, conosce il nome della vittima (L’alibi era perfetto), oppure sa il tedesco (Anche i boia muoiono)» (Gilles Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2).

The Woman in the Window è un film che va oltre i confini del noir tradizionale, combinando un intreccio avvincente con una riflessione profonda sulla psiche umana e sulla natura del desiderio: è un’opera che interroga il nostro rapporto con il desiderio, la realtà e l’illusione. La performance di Edward G. Robinson e Joan Bennett conferisce al film una profondità emotiva che amplifica il suo potere ipnotico. Lang, con la sua regia rigorosa e visionaria, ci conduce in un labirinto psicologico che riflette le contraddizioni dell’animo umano: ci offre un’opera che è al tempo stesso un thriller e un trattato filosofico, capace di interrogare lo spettatore sul significato delle sue stesse proiezioni e ossessioni.

La donna del ritratto

Titolo originale: The Woman in the Window
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1944
Durata: 107 minuti
Dati tecnici: b/n
rapporto: 1,37 : 1
Genere: noir, thriller
Regia: Fritz Lang
Soggetto dal romanzo: Once Off Guard di James Harold Wallis
Sceneggiatura: Nunnally Johnson
Produttore: Nunnally Johnson
Casa di produzione: RKO Radio Pictures
Distribuzione in italiano: RKO
Fotografia: Milton R. Krasner
Musiche: Arthur Lange
Scenografia: Duncan Cramer

Interpreti e personaggi

 Edward G. Robinson: professor Richard Wanley
Joan Bennett: Alice Reed
Raymond Massey: procuratore Frank Lalor
Edmund Breon: dottor Michael Barkstane
Dan Duryea: Heidt / Tim
Thomas E. Jackson: ispettore Jackson
Dorothy Peterson: signora Wanley
Arthur Loft: Claude Mazard / Frank Howard / Charlie
Frank Dawson: Collins
Arthur Space: capitano Kennedy

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