Innovation

Dal Panopticon al "Chat Control". Trasparenza che diventa sorveglianza di massa?

di Walter Rodinò
 
Dal Panopticon al 'Chat Control'. Trasparenza che diventa sorveglianza di massa?
“Trasparenza”. È il mantra che attraversa la nostra vita digitale: codici fiscali e PIN, SPID e riconoscimento facciale, piattaforme per appalti e contributi pubblici, policy rassicuranti delle big tech. Ogni gesto, dall’acquisto di un cuscino al bonifico istantaneo, lascia una scia di dati che promette sicurezza, efficienza, equità. Ma la nostra “casa di vetro” non è neutra. Quell’enorme flusso alimenta profili, tendenze, strategie automatiche che assecondano (o deviano) desideri e opinioni. È il punto in cui la retorica della trasparenza sfiora il dominio degli sguardi.

Jeremy Bentham lo aveva immaginato in architettura: il Panopticon, torre centrale da cui osservare tutto, sempre, senza essere visti. L’idea utilitarista, massimo ordine con minimo costo, funziona perché interiorizziamo l’occhio del controllore e ci autocensuriamo. Ma Bentham parlava di una prigione. Oggi, la torre è un’infrastruttura digitale fatta di piattaforme, protocolli, algoritmi che, se non regolati con garanzie robuste, possono trasformare la trasparenza in potere pervasivo sulle menti e sui corpi.

Dentro questa cornice s’inserisce la proposta europea di regolamento per prevenire l’abuso sessuale sui minori (CSAR), ribattezzata “Chat Control. L’obiettivo è nobile, arginare la circolazione online di immagini e video di abusi, un fenomeno che esplode a ritmi allarmanti e richiede risposte efficaci. Il testo, sostenuto dalla Commissione e in discussione tra governi, prevede l’uso di sistemi automatizzati per individuare contenuti illegali anche nelle comunicazioni private, con possibili “detection orders” rivolti a interi servizi e la prospettiva di scansioni lato-client prima della cifratura end-to-end. È qui che il Panopticon torna d’attualità. Una backdoor generalizzata, per quanto motivata, incrina l’idea stessa di segretezza delle chat e ridisegna la soglia tra controllo mirato e sorveglianza di massa. 

Il fronte critico è ampio. Organizzazioni per i diritti digitali (come EDRi) avvertono che la scansione lato-client equivale, di fatto, a depotenziare la cifratura. E poi gli errori di classificazione non sono un dettaglio statistico quando a finire sotto segnalazione sono conversazioni innocue. E ancora: il “function creep”, l’estensione graduale dello scopo, è un rischio concreto, oggi i CSAM, domani terrorismo, dopodomani dissenso. Non è solo privacy, è sicurezza informatica sistemica, perché una porta d’accesso costruita “per i buoni” diventa appetibile anche per i criminali. 

I protagonisti dei servizi cifrati alzano la voce. Signal parla di “meccanismo che funziona come un malware” e si dice pronta a lasciare il mercato europeo pur di non indebolire l’end-to-end. Posizioni dure condivise da altre app e da comunità tecniche che leggono nella scansione preventiva una falla di principio. Anche WhatsApp ha messo in guardia, poiché toccare la cifratura mina la sicurezza di miliardi di utenti. In una Unione che discute un voto chiave, la Germania ha annunciato l’opposizione, spostando gli equilibri del Consiglio e costringendo a ripensare la traiettoria della proposta. 

C’è, tuttavia, la sostanza drammatica che spinge il legislatore, la produzione e condivisione di materiale d’abuso è incessante, le piattaforme sono vettori, l’IA amplifica capacità e velocità dei predatori. Ignorare questa realtà sarebbe irresponsabile. Ma la domanda politica, e morale, è se sia accettabile spostare la soglia del controllo dal sospetto individuale al monitoraggio generalizzato, trasformando i nostri telefoni in terminali di perquisizione preventiva. La storia del Panopticon ci insegna che l’onnivisione non riforma solo i costumi, riscrive le libertà. La trasparenza che pretendiamo dallo Stato e dalle piattaforme deve valere, simmetricamente, come trasparenza delle regole del controllo: ambito delimitato, basi giuridiche chiare, supervisione indipendente, audit pubblici degli algoritmi, rimedi effettivi per gli errori, “sunset clause” e valutazioni d’impatto periodiche. Altrimenti, l’eccezione diventa norma.

Una via europea è possibile, consiste nel rafforzare le unità specializzate e la cooperazione giudiziaria, investire in strumenti forensi mirati e in indagini sotto copertura, non in dragnet tecnologici, colpire infrastrutture e incentivi economici dello sfruttamento, potenziare la segnalazione volontaria con standard comuni e garanzie, educazione digitale e responsabilità delle piattaforme su default, verifica dell’età senza abbattere la cifratura. Proteggere i minori e difendere la segretezza delle comunicazioni non sono obiettivi alternativi se si sceglie la strada più costosa, investire in capacità umane e giudiziarie, anziché quella più economica, spostare il Panopticon nel silicio.

La democrazia liberale, di cui Bentham fu padre e critico, non teme la luce, ma teme l’occhio che non batte mai ciglio. Forse è giunto il tempo in cui governi e istituzioni europee scrivano una Costituzione della trasparenza che non sia una licenza di sorveglianza. Affinché ciò che oggi costruiamo per combattere un male reale non diventi l’architettura permanente del sospetto. Perché una società in cui ogni messaggio è potenzialmente aperto, anche solo per un istante, è una società che ha già accettato di vivere nel Panopticon. E in un Panopticon, per definizione, liberi non lo siamo più. 
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