Faccio parte, per mia fortuna (e per questo offro la mia totale comprensione a coloro che, quasi ogni santo giorno, salgono su un vagone per raggiungere il posto di lavoro), dei viaggiatori saltuari, potendo alternare la scelta per i miei spostamenti tra treno, auto e aereo. Però, da qualche tempo (troppo, anche per i miei gusti di soggetto dotato di una buona dose di pazienza), nella mia personale classifica di gradimento, il treno ha perso posizioni, collocandosi tra il calesse - di cui apprezzo la sostenibilità e il fatto che dovrebbe fare respirare aria migliore - e il monopattino, che purtroppo identifico con chi lo usa come se fosse un passepartout per strade, marciapiedi, giardini e altro.
Il treno, per decenni, e anche quando l'aereo si era affermato come mezzo affidabile e sicuro, è stato la scelta quasi obbligata per gli spostamenti, coprendo con la sua rete migliaia di chilometri e portandoti in ogni luogo, anche il più sperduto. Ma quei tempi sembrano ormai finiti perché l'affidabilità che aveva oggi è purtroppo un ricordo e oggi, davanti alla cocente delusione di vedere quanto sia sceso il livello e l'affidabilità del servizio delle Ferrovie dello Stato, mi sento come il giovane Werther (chiediamo scusa a Goethe per esserci appropriati di un personaggio che ci ha accompagnato durante le letture giovanili) che scrive di amori perduti, di speranze non più possibili, di sentimenti traditi.
Non riesco nemmeno ad immaginare cosa debbano sopportare i pendolari (che reputo appartenenti ad una categoria dello spirito, perché di doti morali ce ne vogliono a iosa per affrontare spostamenti alla stregua di animali, destinati al macello e per i quali, quindi, non c'è più alcun rispetto). A loro, a chi usa il treno per lavoro, alzandosi all'alba e tornando a casa di sera, oggi, da utente saltuario di vagoni, ma privilegiato essendo un imprenditore della comunicazione, vorrei dare il palcoscenico che meritano. Loro così come tutti quelli che ricorrono al treno. E posso parlare per esperienza diretta e ricordi ancora freschi riferendo di come mi è accaduto, appena pochi giorni fa, prendendo a Roma un treno del Gruppo FS con destinazione a Milano.
Prima classe, pagata a caro prezzo (ormai è esorbitante), per stare in una carrozza oggettivamente sporca, per terra, come sulle poltroncine, che necessitavano da giorni di una passata di detersivo così come di disinfettante. Poi il personale che ci mette tutta la buona volontà, ma che, forse perché ha sulle spalle già molte ore di faticoso impegno lavorativo, dimentica che il passeggero, anche quello meno esigente, si aspetta di essere trattato con cortesia (cosa che c'è ancora per fortuna), ma anche magari con qualche sorriso, di facciata, ma che non ci starebbe male, rappresentando l'attenzione che Ferrovie dovrebbe riservare a chi ha scelto di servirsi di loro e, ripeto, anche affrontando una spesa niente male. Poi mi prego d'essere compreso se taccio sulla qualità del cibo offerto ai viaggiatori di prima classe: e anche questo è un indicatore, non un sintomo.
Qualcuno potrà dire che chiedo troppo, ma non penso di essere lontano dal vero spingendomi a paragonando le Ferrovie di oggi a quelle dell'era Moretti (quello che saliva in incognito sui treni per verificarne il servizio), cone le differenze che sono abissali, a netto favore dei tempi che sono stati.
Poi ci sarebbe il doloroso capitolo dei ritardi (che il ministro competente attribuisce sempre a cause esterne, che però debbono essere veramente bastarde se si accaniscono inesorabilmente proprio sulle Ferrovie...) che da rari sono diventati episodici, quindi meritevoli d'essere ricordati per arrivare al presente, dove si scommette per fortuna non sul fatto che, prima o poi, si arriva, ma su quale sarà la differenza tra l'orario ''venduto'' e quello reale. Ma non dobbiamo buttarci giù più del lecito, perché l'italico ingegno ha posto rimedio a questo problema, varando il ''ritardo programmato'' e, per adeguarvisi, facendo partire i treni in anticipo, per rispettare l'orario d'arrivo previsto. Ecco, in momenti del genere rimpiango che Totò non ci sia più perché, prendo a prestito una frase brutta, ma efficace, li avrebbe fatti neri.
Comunque dovremmo respingere il pessimismo cosmico e invece nutrire sempre la speranza che le cose andranno meglio. Poi, però, quando di venerdì pomeriggio, per un imprevisto impegno di lavoro, chiedi di spostare la partenza da Milano verso Roma ad un treno successivo, ti senti dire che non ce ne sono. Ecco che, allora, il minimo che ti viene è domandarsi come sia possibile che la tratta di punta italiana (quella che unisce la capitale economica a quella amministrativa del Paese) sia cancellata ad un certo orario, come se la vita lavorativa si fermasse poco dopo la sosta per pranzare. Ora, per un imprenditore vedere che il più importante gruppo ferroviario italiano ritiene che il venerdì pomeriggio il mondo si cristallizzi e che non ci sia uno straccio di passeggero che vuole andare o tornare a Roma sembra il riflesso di una deteriorata predisposizione di Fs al dialogo con gli utenti, considerati vacche da mungere, ma senza dare in cambio alcunché.
Che poi questo sia frutto di una soppressione di treni, per fare viaggiare gli altri a ''pieno carico'' è un pensiero malevolo, che non prendiamo in considerazione anche se, a pensarci, potrebbe anche essere una spiegazione, che farebbe pugni con il contratto morale tra Ferrovie e gli italiani. Ma questo brutto pensiero lo lasciamo ad altri. Però questo stato di cose, in fondo, un lato positivo ce l'ha, o almeno lo ha avuto per me perché, davanti all'alternativa di andare in albergo e partire l'indomani e prende un'auto in fitto, ho deciso di andare in aeroporto per cercare di raggiungere Roma con un volo da acchiappare come un tram in corsa.
Il caso non c'entra perché, una volta in aeroporto, ho trovato il posto, ma soprattutto una compagnia - Ita Airways - che ha fornito un servizio perfetto, su un apparecchio nuovissimo, con un personale di cabina che definire efficiente e gentile è poco rispettoso della professionalità. E, cosa che non posso non menzionare, con un costo quasi dimezzato rispetto al prezzo pieno del treno. Certo, poi ci si deve mettere il disagio di tornare in città da Fiumicino, ma è ben poca cosa.