Dunque: il rappresentante di Dio in terra è finito nella classifica dei meglio vestiti di Vogue. Tra un rapper e un'attrice indie. Come se niente fosse. Come se duemila anni di storia ecclesiastica fossero stati una lunga passerella verso questo momento culminante: Papa Leone XIV che si becca la sua scheda - stesso formato degli altri, eh, niente favoritismi - accanto a gente che per mestiere fa la faccia davanti agli obiettivi. La cosa meravigliosa è il tono. Vogue spiega che il Pontefice avrebbe "rotto con i gusti volutamente umili" di Francesco. Volutamente umili.
Il Vaticano scopre che l'abito fa il monaco (soprattutto se è in raso rosso)
Come se il predecessore avesse scelto la sobrietà per una questione di tendenza, tipo minimalismo scandinavo applicato alla Curia. E Leone XIV invece no: ha capito che l'umiltà è sopravvalutata quando hai a disposizione couturiers vaticani e ricamatori d'oro. Via il francescanesimo, largo al lusso teologico. Perché se devi rappresentare l'Altissimo, tanto vale farlo con una mozzetta che spacca. Il look vincitore - e qui bisogna fermarsi un attimo a riflettere sul concetto stesso di "look vincitore" applicato a un Papa - è quello della prima apparizione dalla loggia. Rosso, oro, seta. Roba che Donatella Versace si farebbe il segno della croce. Anzi, probabilmente se l'è fatto davvero, vedendo quella stola ricamata. Vogue lo descrive come "perfetto equilibrio tra autorità e forza iconografica". Che tradotto significa: sembrava potente. Che è esattamente quello che un Papa è, ma evidentemente adesso serve Vogue per certificarlo.
Nel frattempo Leone XIV invita in Vaticano Monica Bellucci e Cate Blanchett. Dichiarata cinefilia, chiamano questa cosa. Modernizzazione. Come se la Chiesa avesse bisogno di aggiornarsi guardando The Aviator e Malèna. Ma tant'è: se vuoi parlare ai giovani, chiami le star. Se vuoi parlare a Dio, beh, quello è un altro discorso. Meno photoshoot, presumibilmente. La lista completa è un delirio democratico: il Papa tra Jannik Sinner e Tyler, The Creator.
Laura Mattarella che condivide lo spazio con Rihanna. Un calderone dove tutto si equivale, dove l'unica gerarchia è quella del tessuto ben tagliato. Il MET Gala accanto all'Urbi et Orbi. Cannes che stringe la mano a San Pietro. La moda come grande livellatore universale, l'unico esperanto rimasto in piedi. E c'è una bellezza perversa in tutto questo, bisogna ammetterlo. Perché in fondo la Chiesa ha sempre saputo fare spettacolo. Le cattedrali gotiche erano già blockbuster, le Messe tridentine erano teatro totale. Solo che prima lo si mascherava dietro la trascendenza, il mistero, la liturgia. Adesso invece ce lo diciamo chiaro: è tutto un red carpet lunghissimo, che parte dalle catacombe di San Callisto e arriva dritto dritto alle pagine patinate di Manhattan. Il bello è che funziona. Leone XIV entra nella lista e nessuno ride, nessuno storce il naso. Tutti annuiscono: certo, logico, il Papa. Ovvio. Perché ormai l'eleganza è diventata l'unica forma di autorità che riconosciamo senza discutere. Puoi mettere in dubbio il dogma, ma non la caduta di una stola.
Forse tra qualche anno avremo Pontefici con stylist dichiarati, capsule collection vaticane, paramenti in limited edition. O forse ci siamo già, e semplicemente nessuno ha ancora avuto il coraggio di scriverlo nel comunicato stampa. Nel frattempo Leone XIV può consolarsi: ha battuto Jacob Elordi. E diciamocelo, per uno che rappresenta l'Altissimo, vincere sul contingente è sempre una certa soddisfazione. Anche se l'eternità, un tempo, non aveva bisogno di finire su Vogue per essere presa sul serio.