La transizione energetica non è più una questione di lungo periodo, ma un’urgenza economica e infrastrutturale. A livello globale, il sistema elettrico si trova davanti a un paradosso: la corsa alle rinnovabili procede a ritmi record, ma la capacità di accumulo non è ancora in grado di sostenerla.
Stati Uniti a rischio crollo del 75% nella produzione di batterie entro il 2030
Mancano all’appello circa 1.400 gigawatt di sistemi di stoccaggio a batteria, necessari per garantire la stabilità delle reti entro i prossimi dieci anni. Colmare questo vuoto richiederà una cifra colossale: 1,2 trilioni di dollari di investimenti entro il 2034.
A lanciare l’allarme è un nuovo rapporto di Wood Mackenzie, società di consulenza energetica internazionale. Secondo il documento, la crescita prevista di oltre 5.900 GW di nuovi impianti eolici e solari rende lo storage un tassello non più accessorio, ma strutturale. Come ha spiegato Robert Liew, direttore della ricerca di Wood Mackenzie, “i sistemi di accumulo grid-forming rappresentano una svolta fondamentale per l’integrazione delle rinnovabili”.
Con la domanda globale di elettricità destinata a salire del 55% entro il 2034, ha aggiunto l’analista, “questi sistemi forniscono il ponte tecnologico tra l’abbondanza di energia pulita e i requisiti di stabilità della rete”. A rendere più concreta questa prospettiva è il forte ridimensionamento dei costi. Nell’ultimo anno i prezzi delle batterie per l’accumulo sono scesi tra il 10% e il 40% nei mercati globali, aprendo a quello che Wood Mackenzie definisce un vero e proprio boom. Il settore, insomma, sta entrando in una fase in cui la sostenibilità economica delle soluzioni va di pari passo con l’urgenza climatica.
Il quadro, però, non è uniforme. Negli Stati Uniti, dove la capacità di storage utility-scale era cresciuta di 15 volte in appena cinque anni, raggiungendo i 30 GW, la traiettoria rischia ora di invertire la rotta. La causa è politica: l’approvazione del “One Big Beautiful Bill Act” da parte del presidente Donald Trump ha cancellato gran parte dei crediti d’imposta per l’energia pulita, favorendo invece i combustibili fossili. Le stime dell’International Council on Clean Transportation parlano chiaro: la produzione di batterie potrebbe ridursi del 75% entro il 2030, passando da 1.050 a soli 250 GWh.
Anche il mercato dei veicoli elettrici ne uscirebbe indebolito, con vendite inferiori del 40% rispetto alle precedenti proiezioni. L’impatto si sentirebbe soprattutto negli stati industriali come Texas, Michigan e Georgia, dove erano stati annunciati quasi 130 nuovi stabilimenti di batterie, ma meno della metà ha effettivamente avviato i cantieri. Tuttavia, la misura non elimina del tutto gli incentivi: il credito della Sezione 45X viene mantenuto per moduli e componenti, anche se i vantaggi legati ai minerali critici verranno progressivamente rimossi tra il 2031 e il 2033.
Se gli Stati Uniti vivono una fase di incertezza, la Cina procede spedita in direzione opposta. Pechino sta puntando con decisione sull’idroelettrico a pompaggio (PSH), tecnologia considerata più duratura e conveniente delle batterie. Solo nell’ultimo anno il Paese ha rappresentato il 60% della nuova capacità idroelettrica globale, con 24,6 GW aggiunti, di cui 7,75 GW da impianti PSH. Questa strategia rientra in un piano molto più ampio: raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060. Con 436 GW di capacità idroelettrica installata a fine 2023 e una nuova legge che incentiva ulteriormente il PSH, la Cina si prepara a superare i suoi stessi obiettivi, puntando a 130 GW entro il 2030.